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Opinioni
Il caso Cospito

Perché la lotta dell’anarchico Alfredo Cospito contro il 41 bis è giusta

Si sta parlando molto di 41bis, di carcere ostativo e libertà, per via dello sciopero della fame di Alfredo Cospito ma purtroppo si conosce molto poco dell’argomento. E come diceva Bertolt Brecht «La condizione di un popolo si capisce dalle condizioni delle sue prigioni».
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Quando si parla di carcere, galere, pene esemplari dimentichiamo troppo spesso che secondo la nostra stessa costituzione – scritta da persone che durante il fascismo avevano conosciuto sin troppo bene l'orribile realtà della prigionia – il carcere non dovrebbe essere un luogo di punizione ma di ri-educazione, che riesca a dare a chi ha commesso un atto criminale – per sbaglio, per necessità, per costrizione o per sua stessa decisione – una seconda possibilità. Come previsto dall’articolo 27 della Costituzione, secondo cui «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», e dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per il quale «nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

Quando parliamo di detenzione e punizione non dovremmo mai dimenticare che “i diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi", come diceva il dottor Strada, che nell’espressione delle nostre opinioni dovremmo essere governati da un principio secondo il quale non possiamo ridurci al rango di bestie nell’esercitare la legge come una vendetta perché la storia si è incaricata di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che il tempo di occhio per occhio è volto al termine.

Quale che sia il reato commesso dalla persona punita dalla legge, anche il più feroce, terribile e sanguinario non possiamo ridurci al suo stesso livello, altrimenti non c’è differenza fra vittima e carnefice: essere contro la tortura, contro la pena di morte, contro l’annullamento di ogni diritto non può valere solo quando a subirle sono degli innocenti, in uno Stato di diritto, in una vera democrazia dovrebbe valere sempre.

E bisognerebbe avere il coraggio di affermare che il carcere ostativo, il 41bis, è di fatto una tortura psicologica e fisica, senza però che questo voglia sottintendere di essere dalla parte dei mafiosi, assolutamente no. Purtroppo nell’era della polarizzazione ci si ritrova schierati nostro malgrado da una parte o dall’altra della barricata del trend topic del momento, ma le discussioni su temi che possiedono ampie zone grigie non possono ridursi a “bianco o nero”: se sei contro un certo tipo di galera punitiva non sei tu stesso un criminale e anzi dovremmo tutte e tutti assumerci il difficilissimo compito di comprendere il motivo per cui delle giovanissime persone siano portate a delinquere e di fare in modo che non lo ripetano, e che altre come loro non si trovino nelle medesime condizioni.

Il 41Bis serve ad annientare i legami criminosi con l’esterno, una misura che in alcuni casi si è resa necessaria ma che di fatto va ad annullare i diritti fondamentali del detenuto: nei primi sei mesi non hai nessun legame con l’esterno, poi una visita al mese senza contatti o in alternativa una telefonata. Un’ora d’aria al giorno con altri tre detenuti scelti dalla direzione, in un cavedio – perché chiamarlo cortile è offensivo – di pochi metri quadrati, con mura altissime circondate da filo spinato. Le restanti 23 ore al giorno si trascorrono in solitudine, in una cella di circa un metro e mezzo per due, con una finestrella da cui entrano spicchi di luce ma da cui non si può guardare fuori né affacciarsi per via dell’altezza. Niente libri, niente giornali, niente musica, niente fogli per scrivere, niente foto. Niente di niente. Nemmeno un falso tentativo di rieducazione. Niente.

Certo è molto facile pensare “chi se ne frega, alla fine sono mafiosi, sono esseri terribili che hanno commesso orribili atrocità, buttate la chiave e via!”, però allora così vale tutto e si presenta il problema di chi decide quale sia il limite di questo tutto; anche perché, citando Zerocalcare, “quando deroghi a un principio non lo sai bene dove si va a finire. È un domino".

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Alfredo Cospito non è un mafioso, è un anarchico che ha scontato dieci anni per aver gambizzato un manager di Ansaldo, e che ora si trova al 41Bis perché accusato di aver messo un ordigno esplosivo a basso potenziale di notte, in un cassonetto vicino alla scuola per carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo, diciotto anni fa – ordigno più che altro dimostrativo, che non ha causato alcun morto e ferito -, ed è accusato di strage perché in Italia il reato di strage viene applicato anche per tentata strage, e per di più nel 2022 la Corte di Cassazione ha deciso che Cospito deve essere giudicato per il reato di “strage politica”. Un reato molto più grave che chiama in causa la “sicurezza dello Stato”, sulla base dell’articolo 285 del codice penale, che prevede l’ergastolo anche se l’attentato non ha provocato alcun morto o ferito e prevede la possibilità che questo si trasformi in ergastolo ostativo. Articolo 285 che però non è stato applicato né per le stragi di Capaci e via D'Amelio, né per quella della stazione di Bologna. E intendiamoci non è che siccome non riesci a far fuori tutta la gente che vuoi allora sei più buono, torno a ripetere che non si tratta di empatia o simpatia per gli accusati ma di principi e diritti che dovrebbero essere inalienabili.

Alfredo Cospito è in sciopero della fame dal 19 ottobre e la sua battaglia non è per uscire dal 41Bis ma è contro il carcere duro perché “questi politici non conoscono la realtà del carcere" e quindi non sanno che "una cella singola è da privilegiati".

Sì, perché nelle nostre prigioni può accadere che nove detenuti occupino una cella che ne può contenere quattro, dove trascorrono la loro vita 20 ore su 24. E troppo spesso quelle vite divengono talmente insopportabili da preferire la morte. A partire dal 2000, le vittime della galera hanno raggiunto il numero di 1940, di cui 696 suicidi. E ognuno di noi dovrebbe essere tenuto a sapere che su “una popolazione complessiva di oltre 68mila individui, più di un terzo, 24mila, sono cittadini stranieri e 15mila sono tossicodipendenti. È fin troppo evidente come la loro permanenza in galera sia strettamente connessa alle norme ciecamente repressive e criminogene sull’immigrazione clandestina e sugli stupefacenti". È chiaro che in Italia c'è un grave problema riguardante le carceri e le loro condizioni ma è altrettanto chiaro che alcuni problemi non interessano a nessuno, né tantomeno è interessante esporli in campagna elettorale, quindi si continua a far finta di nulla, come se quelle persone non fossero esseri umani come noi.

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Quando ripenso al me ventenne, vedo un’altra persona, totalmente diversa: il tempo cambia non soltanto le cose, cambia radicalmente gli uomini e le donne, li trasforma, li rende individui completamente diversi, e di certo non parlo solo dell’aspetto fisico. Come possiamo quindi essere sempre sicuri di essere dalla parte del giusto, di essere noi i buoni e tutti gli altri i cattivi, che noi non sbaglieremmo mai o che non avremmo mai sbagliato? Come si può pretendere che una giovanissima persona di vent’anni, seppure rea di aver commesso il peggiore dei crimini, possa poi cambiare, se davanti a se per il resto della vita ha solo le mura della prigione? Questa è vendetta, non è giustizia.

Nella detenzione non ricordi il male fatto, ma solo quello che ricevi tutti i giorni: ciò ti fa sentire innocente. Il perdono invece è uno schiaffo: ti fa stare male. Non si può cambiare stando chiusi in una stanza”. Carmelo Musumeci ex detenuto, 25 anni di ergastolo ostativo, tre lauree ed una vita, adesso, completamente dedicata agli altri, al recupero delle persone fragili, all’aiuto di giovani detenuti, alla speranza di un cambiamento.

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