video suggerito
video suggerito
La morte di Alexei Navalny

Morte Alexei Navalny, la vedova rivela: “Mio marito è stato avvelenato, ora abbiamo le prove”

La vedova di Alexei Navalny punta nuovamente il dito contro il Cremlino: il marito sarebbe stato avvelenato e ucciso in una colonia penale siberiana. Navalny, simbolo dell’opposizione a Putin, aveva subito repressioni e avvelenamenti, continuando a denunciare corruzione e difendere i diritti civili.
A cura di Biagio Chiariello
0 CONDIVISIONI
Immagine
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

La morte di Alexei Navalny, il principale oppositore del Cremlino scomparso nel 2024 in una colonia penale siberiana, continua a scuotere l’opinione pubblica internazionale. La vedova, Yulia Navalnaya, ha rilanciato pesanti accuse contro il governo russo, sostenendo che il marito “è stato avvelenato”. Attraverso un post sui social, la donna ha spiegato che nel febbraio 2024 furono raccolti campioni biologici di Navalny, trasferiti all’estero e analizzati da laboratori occidentali. “Due laboratori in due paesi diversi hanno concluso che Alexei è stato avvelenato”, ha dichiarato, confermando così i timori che la sua morte non sia stata naturale.

"Non so nulla di queste sue dichiarazioni. Non posso dire nulla al riguardo": così il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, ha risposto a chi gli chiedeva di commentare le parole della Navalnaya. Lo riporta la Tass.

Non è la prima volta che Yulia Navalnaya lancia accuse di questo tipo. Il 16 febbraio 2024, giorno della morte dell’oppositore, in un messaggio video aveva affermato che il marito sarebbe stato ucciso con il Novichok, un agente nervino utilizzato già nel tentato avvelenamento di agosto 2020. “Mentono meschinamente e nascondono il suo corpo attendendo che svaniscano le tracce dell’ennesimo Novichok di Putin”, aveva aggiunto. La vedova ha inoltre promesso che continuerà l’opera del marito: “Continuerò a lottare per il nostro Paese. E ti invito a starmi accanto”, ha assicurato.

Alexei Navalny, 47 anni, era stato il nemico pubblico numero uno del Cremlino. Avvocato di formazione, divenne noto per le sue inchieste contro la corruzione della classe politica russa e per la critica aperta a Vladimir Putin. Nel 2020 fu avvelenato durante un viaggio in Siberia, un episodio attribuito dal suo staff all’uso del Novichok. Nel marzo 2022, il tribunale di Lefortovo di Mosca lo condannò a nove anni di carcere in una colonia penale di regime severo; un successivo provvedimento nell’agosto 2023 aumentò la pena a 19 anni, confermata dalla prima Corte d’appello di giurisdizione generale nel settembre 2023.

Il 25 dicembre 2023 Navalny fu trasferito nella colonia penale IK-3, nota come “Lupo Polare”, a Charp, nel circondario autonomo Jamalo-Nenec, oltre il Circolo Polare Artico. Qui, in isolamento quasi totale, le comunicazioni con l’esterno erano ridotte al minimo. Il trasferimento, effettuato tramite i treni speciali Stolypin, lo condusse in uno dei territori più estremi della Russia, in termini di clima e geografia. Secondo Osechkin, fondatore del gruppo per i diritti umani Gulagu.net, l’oppositore sarebbe stato ucciso “con un pugno al cuore, una tecnica delle forze speciali dell’ex KGB”. Prima della morte, Navalny avrebbe subito ore di esposizione a temperature di -27 gradi, ben oltre il limite consentito per i detenuti. I lividi riscontrati sul corpo sarebbero compatibili con tale metodo.

La morte di Navalny si inserisce in un contesto geopolitico e interno complesso. Mentre la comunità internazionale osserva con attenzione, in Russia Vladimir Putin ha recentemente presenziato alle esercitazioni militari russo-bielorusse Zapad-2025, in cui hanno partecipato circa 100.000 soldati distribuiti su 41 campi di addestramento. Le manovre, riportate dall’agenzia statale Tass, evidenziano la centralità della dimensione militare nella strategia del Cremlino, anche a fronte delle crescenti tensioni internazionali.

Il dissidente russo aveva sempre promosso un avvicinamento pragmatico ai Paesi occidentali e sosteneva la legalizzazione dei matrimoni omosessuali in Russia. Il suo impegno politico, volto a contrastare la corruzione e difendere i diritti civili, lo aveva reso simbolo della resistenza interna al regime, ma anche bersaglio di repressione sistematica. Il trasferimento nel territorio artico e le condizioni estreme della detenzione testimoniano la durezza del trattamento riservato agli oppositori politici in Russia.

L’accusa della vedova, sostenuta dai risultati dei laboratori esteri, riaccende i riflettori sulla questione degli avvelenamenti di Stato e sulle responsabilità del Cremlino. Yulia Navalnaya ha sottolineato che, se confermate, tali azioni ricadrebbero direttamente su Putin e sul suo entourage. La comunità internazionale segue con attenzione gli sviluppi, mentre la figura di Navalny rimane simbolo della lotta per la democrazia e dei diritti umani in Russia, in un Paese dove il dissenso continua a essere duramente represso.

0 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views