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Opinioni

Minigonna a scuola, Dad, clima: ormai gli adulti sono capaci solo di prendersela coi giovani

Di fronte agli insulti di una professoressa del liceo Righi di Roma contro una studentessa, sui giornali si leggono solo commenti contro la ragazza, il suo abbigliamento e i compagni che la difendono. Un film già visto con clima e Dad, un paternalismo di cui si farebbe volentieri a meno.
A cura di Maria Cafagna
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Le discussioni nate attorno alle proteste al Liceo Scientifico Righi fotografano molto bene lo stato del dibattito pubblico sulle questioni che riguardano le persone più giovani e in particolare le donne. I fatti: un gruppo di studentesse e studenti sta filmando un video da postare sui social durante l’orario scolastico, una docente li sorprende e riprende in particolare una ragazza che  in quel momento aveva la pancia scoperta apostrofandola con “non sei sulla Salaria”, zona dove si consuma sotto la luce del sole lo sfruttamento della prostituzione, anche quella minorile. In reazione a quella frase le studentesse e gli studenti del Righi protestano segnalando il commento discriminatorio e sessista della docente e per manifestare solidarietà alle loro amiche, molti ragazzi decidono di presentarsi a scuola con la pancia scoperta e la minigonna.

La scuola si trova nel centro di Roma e, come tutte le cose che accadono al centro di Roma, riceve un’attenzione particolare sia perché si tratta della Capitale, sia perché molti giornalisti e molte giornaliste abitano lì per ragioni ovvie – a Roma ci sono le sedi principali della Rai, molte testate hanno lì le loro redazioni e così via – per cui a questa faccenda è stato dato più risalto che ad altre simili, come il caso degli studenti di un liceo di Monza che si sono presentati in classe con la gonna per protestare contro i commenti sgradevoli ricevuti da alcune ragazze da parte del corpo docente. Quello del Righi non è un caso isolato: come dimostrano le manifestazioni delle scorse settimane, oltre alle proteste in molti istituiti per il comportamento e i commenti inappropriati di molti docenti – il caso più clamoroso riguarda l’istituto Valentini-Majorana in provincia di Cosenza – cresce il bisogno di studentesse e studenti di maggiore rispetto e ascolto da parte di adulti e autorità, specie dopo gli ultimi due anni di pandemia, didattica a distanza e mancanza di qualsiasi forma di socialità. Un recente rapporto dell’Unicef sostiene che un adolescente su sette soffre di disturbi mentali e che le conseguenze dell’isolamento a causa del COVID rischiano di avere un impatto molto forte sul loro equilibrio negli anni a venire; il suicidio,  inoltre, rimane la seconda causa di morte per gli e le adolescenti dopo gli incidenti stradali. Ma, alla luce di tutto questo la percentuale d’investimenti sulla salute mentale dei fondi governativi per la salute è solo del 2%.

All’indomani della notizia delle proteste al Liceo Righi, alcune delle più note firme del giornalismo italiano si sono espresse cercando di spostare l’attenzione dal commento inopportuno dell’insegnante alla causa scatenante di quel commento: il comportamento e l’abbigliamento della ragazza. La scrittrice Dacia Maraini ha scritto sul Corriere che ad averla colpita è stato il fatto che il video che i ragazzi stavano registrando era destinato alla rete e ammoniva gli studenti e le studentesse del Righi a non scambiare le mode – in questo caso i video di TikTok – e le lotte per la libertà e l’autodeterminazione. Le ha fatto eco Concita De Gregorio su Repubblica anche lei colpita dalla disinvoltura con cui i ragazzi e le ragazze vestono e abitano i luoghi della scuola. Scrive De Gregorio: “La frase “non sei sulla Salaria” rivolta a una ragazza che in classe si fa un videoselfie da postare su TikTok scoprendosi il corpo non è un distico elegiaco, certo. Ma non è neppure un’ingiuria: è un modo di dire colloquiale, altrove si dice “pari uno scorfano” senza che la protezione della fauna ittica insorga”. La pagliuzza, secondo la giornalista, è l’ingiuria, la trave sono i ragazzi e in particolare le ragazze che inseguono le mode scambiandola per libertà.

Le posizioni di Maraini e De Gregorio sono state accolte con grande entusiasmo in rete e dai commenti ai molti articoli apparsi sulla stampa online e sui social, emerge un crescente fastidio nei confronti della protesta del Righi e nelle istanze portate avanti dagli studenti e dalle studentesse che in queste ultime settimane hanno animato le piazze e le strade di tutto il Paese.

Svogliati perché saltano la scuola per scioperare per il clima, smidollati perché non vogliono affrontare la seconda prova della maturità, nullafacenti perché hanno occupato le scuole, lagnosi perché non sopportano più la Dad. A tutto questo si aggiunge un certo carico di misoginia quando si parla delle giovani donne: molti tweet particolarmente condivisi sulle proteste del Righi riportavano episodi relativi all’adolescenza degli autori in cui, davanti a un insulto sessista da parte di un docente, si rispondeva con una sonora risata da parte della classe e la faccenda si chiudeva lì.

Ci stupiamo poi che i ragazzi e le ragazze protestino, scendano nelle strade o chiedano giustizia a gran voce: il motivo sta tutto lì, nel fatto che le persone adulte dicano a quelle più giovani che in fondo, a loro, di quello che hanno da dire, dei motivi delle loro proteste, dei loro disagi, non gliene importa assolutamente nulla.

L’auto-proclamatasi Meglio Gioventù, ovvero la generazione nata durante o a ridosso il boom economico, ha scelto di voltare le spalle ai propri figli e alle proprie figlie, ai propri e alle proprie nipoti, con gli stessi argomenti che loro stessi dicevano di voler combattere: paternalismo, misoginia, benaltrismo, indifferenza. A quei tempi davanti si apriva un futuro gravido di opportunità e ora che hanno raggiunto i loro obietti e hanno messo in sicurezza i propri privilegi, si guardano bene da metterli in discussione e provare a mettersi in ascolto di chi oggi vede il proprio presente e il proprio avvenire a rischio tra pandemie, due crisi economiche, venti di guerra e cambiamenti climatici.

Non sta a noi indicare travi e lune ci interessa solo far notare come c’è una generazione che ha paura e ha ragione di averne e che anche grazie ai tanto vituperati social network sta mettendo in condivisione consapevolezze figlie anche della stagione di lotte che ha visto protagonisti i loro genitori e i loro nonni.

Sarebbe ora di mettere da parte il paternalismo e stringere un patto generazionale per venirne fuori tutte quante e tutti quanti insieme.

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Maria Cafagna è nata in Argentina ed è cresciuta in Puglia. È stata redattrice per il Grande Fratello, FuoriRoma di Concita De Gregorio, Che ci faccio qui di Domenico Iannacone ed è stata analista di TvTalk su Rai Tre. Collabora con diverse testate, ha una newsletter in cui si occupa di tematiche di genere, lavora come consulente politica e autrice televisiva. -- Maria Cafagna   Skype maria_cafagna
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