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Perché così tanti uomini hanno paura di Barbie

Barbie è un fenomeno globale che però non ha messo tutti d’accordo e il personaggio di Ken ha fatto alzare più di un sopracciglio a una parte del pubblico maschile. Già dai primi trailer del film Barbie, era evidente come l’andamento della storia non si discostasse molto dalla percezione generale del bambolotto Ken, che altro non è se non un “accessorio” di Barbie. Tanto è bastato per mandare su tutte le furie la stampa conservatrice e gli esponenti delle destre estreme, soprattutto negli Stati Uniti. Ma non è forse così che le donne sono state raccontate per secoli?
A cura di Maria Cafagna
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Il film di Barbie è stato anticipato da una massiccia campagna di comunicazione che, stando agli incassi, almeno in Italia ha portato i risultati sperati: nel nostro paese Barbie ha incassato più di 2.1 milioni di euro e ha fatto registrare 284 mila spettatrici e spettatori solo il primo giorno di programmazione, solo Harry Potter e i doni della morte – Parte 2 (anch’esso uscito nel mese di luglio), era riuscito a fare di meglio ma eravamo nel 2011, lo streaming era ancora in là da venire e stiamo parlando del capitolo finale di una saga cinematografica – già fenomeno editoriale – che giungeva alla sua conclusione.

Barbie è un fenomeno globale che però non ha messo tutti d’accordo e il personaggio di Ken ha fatto alzare più di un sopracciglio a una parte pubblico maschile. Già dai primi trailer del film, era evidente come l’andamento della storia non si discostasse molto dalla percezione generale del bambolotto Ken, che altro non è se non un “accessorio” di Barbie. Tanto è bastato per mandare su tutte le furie la stampa conservatrice e gli esponenti delle destre estreme, soprattutto negli Stati Uniti.

Fox News – celebre emittente conservatrice americana di proprietà di Rupert Murdoch – prima dell’uscita del film ha rilanciato un pezzo apparso su Movieguide, una testata cinematografica cristiana, che mette in guardia i genitori che hanno intenzione di portare i propri figli e le proprie figlie a vedere Barbie. Il perché è presto detto: “Il nuovo film di Barbie – si legge nell’articolo – ha abbandonato il suo pubblico di riferimento fatto di famiglie e bambini per rivolgersi ad adulti nostalgici e promuove storie di personaggi gay, bisessuali e transgender”. Come ha riportato l’edizione americana di Rolling Stone, dalla destra conservatrice americana si sono sollevate diverse voci critiche che accusano i film di voler fare “propaganda woke”, ovvero di voler veicolare nella storia messaggi inclusivi e transfemministi.

Tutto questo non dovrebbe stupirci dato che anche in Italia siamo bombardati a destra, ma anche a sinistra, di messaggi contro il cosiddetto politicamente corretto che – stando a chi sostiene queste teorie – vorrebbe imporre una sorta di dittatura del pensiero unico e fare propaganda gender per corrompere soprattutto le giovani generazioni e in particolari i bambini portandoli ad abbandonare i valori “tradizionali” come Dio, patria e famiglia. Basti pensare all’ormai celebre discorso che Giorgia Meloni ha tenuto qualche anno fa in piazza San Giovanni in cui rivendicava di essere una donna, madre e cristiana e alle sue invettive contro la propaganda LGBTQI+ al congresso di VOX, partito post-franchista spagnolo che ha tra i suoi punti programmatici proprio la lotta al pensiero woke.

Tutto questo ha contribuito a creare attorno a qualsiasi prodotto di vocazione vagamente femminista e progressista una certa aura di diffidenza a cui non ha potuto sottrarsi nemmeno il film di Barbie. Nonostante Warner Bros. e Mattel abbiano tentato di correre ai ripari dalle polemiche definendolo un film per tutti, fin dal trailer era evidente come Barbie fosse un film smaccatamente femminista: “Barbie può essere tutto”, dicono i poster promozionali del film, mentre “Ken è solo Ken”. Questo genere di comunicazione ha fatto infuriare parecchi spettatori e qualche critico, tanto che sulla rete è pieno di video e articoli che spiegano perché il personaggio di Barbie nel film odia gli uomini.

In effetti quello che fa Greta Gerwig – che firma la sceneggiatura insieme al compagno Noah Baumbach – è un ribaltamento di quello che abbiamo sempre visto sullo schermo: l’eroe della storia è tradizionalmente stato l’uomo e i personaggi femminili erano secondari, spesso con un arco narrativo marginale e poco interessante, intrappolati in ruoli stereotipati (la moglie fedele, la prostituta dal cuore d’oro, la moglie isterica, la suocera invadente etc.). In Barbie l’eroina della storia è un personaggio femminile mentre il personaggio maschile ha un ruolo dichiaratamente secondario: Ken vive in funzione di Barbie, è per lei che si tiene in forma, compete con gli altri Ken per avere la sua attenzione, il suo ruolo si esaurisce in quello di supporter e di partner. E non è forse quello che è stato detto di fare alle donne per secoli? Non è così che le donne sono state raccontate per secoli? Come ci si sente – verrebbe da chiedere ai detrattori di Barbie – a essere rappresentati come “costole” del personaggio principale della storia?

Non stupisce che vedere tutto questo per un uomo maschio, bianco, occidentale e borghese sia stato spiazzante e che possa aver portato a reazioni anche scomposte, ma la differenza rispetto al tipo di narrazione tradizionale è che nel film Gerwig invita gli uomini a riconoscere e combattere quei meccanismi disfunzionali che li obbligano a non parlare dei propri sentimenti, a iper-performare per dimostrare di essere superiori agli altri, a trovare la propria autonomia e la propria identità anche al di fuori di una relazione. Perché è nella piena autodeterminazione – sembra dire Gerwig – che sta la felicità.

Questo Barbie lo racconta in modo chiaro tanto che in molti hanno trovato diversi passaggi del film eccessivamente didascalici, ma nemmeno questo è bastato a far comprendere il vero senso della storia che non è contro i maschi, ma celebra l’unicità di ognuno e di ognuna di noi.

Ma è evidente che esistono ancora molte persone – donne e uomini – che abituate a un certo modo fallocentrico di raccontare le storie e che per questo faticano a riconoscere la portata rivoluzionaria di un nuovo tipo di narrazione collettiva e inclusiva che ora passa anche dai film per bambini, bambine e famiglie. Non resta che sperare che le nuove generazioni possano godersi un film, un libro o una fiaba senza i paraocchi del patriarcato.

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Maria Cafagna è nata in Argentina ed è cresciuta in Puglia. È stata redattrice per il Grande Fratello, FuoriRoma di Concita De Gregorio, Che ci faccio qui di Domenico Iannacone ed è stata analista di TvTalk su Rai Tre. Collabora con diverse testate, ha una newsletter in cui si occupa di tematiche di genere, lavora come consulente politica e autrice televisiva. -- Maria Cafagna   Skype maria_cafagna
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