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Massimo e Gino, uniti contro l’omofobia. A Giarre “sposi” nel ricordo di Giorgio e Toni

A Giarre, quarant’anni dopo la morte di Giorgio Giammona e Antonio Galatola, Massimo Milani e Gino Campanella, dopo 42 anni da compagni di vita, si sono uniti civilmente. Una data “personale e politica, come tutta la nostra vita”. I fatti di Giarre, una piccola città in provincia di Catania, hanno segnato la storia del movimento Lgbt+ italiano. Di lì a poco nasce l’Arcigay, che vede Massimo e Gino tra i suoi fondatori. “In un giorno di violenza, volevamo regalare un gesto d’amore”, dicono a Fanpage.it. Ma un’unione civile non è un punto d’arrivo. E la strada per il riconoscimento dei diritti all’intera comunità arcobaleno è lunga: “Abbiamo la classe politica più omofoba d’Europa – ricordano Massimo e Gino – Sono responsabili di ogni atto violento, la storia li ha già condannati”.
A cura di Luisa Santangelo
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Da sinistra, Massimo Milani e Gino Campanella
Da sinistra, Massimo Milani e Gino Campanella

Giorgio e Toni. Massimo e Gino. Due storie d'amore e un giorno in comune: il 31 ottobre. Quello del 1980, quando i cadaveri di Giorgio Agatino Giammona (25 anni) e Antonio Galatola (15 anni) vengono ritrovati a Giarre, in provincia di Catania, in mezzo a un terreno di campagna, mano nella mano. E il 31 ottobre 2020, quando nello stesso Comune si uniscono civilmente Massimo Milani e Gino Campanella, compagni di vita da 42 anni, tra i fondatori di Arcigay, a Palermo. "In un giorno di violenza, volevamo regalare un gesto d'amore", dicono a Fanpage.it.

La storia di Giorgio e Toni ha segnato non solo il 1980 in Sicilia, ma l'intera storia del movimento Lgbt+ in Italia. "Erano due ragazzi molto diversi – racconta a questa testata Paolo Patanè, ex presidente di Arcigay nazionale, originario di Giarre e per anni unico omosessuale dichiarato della città – Mi ricordo il Ciao guidato da Giorgio, spesso con Toni alle sue spalle. Venivano da due contesti sociali differenti: Giorgio figlio di una famiglia di commercianti, avevano un negozio di articoli musicali; Toni, invece, aveva alle spalle un contesto più difficile, meno fortunato. Forse la loro storia aveva dato scandalo perché restituivano l'immagine di una coppia: non erano amanti, erano innamorati".

A metà ottobre spariscono all'improvviso e i loro cadaveri vengono ritrovati due settimane dopo. "Inizialmente si era pensato a un avvelenamento – continua Patanè – Poi l'autopsia ha rivelato i colpi di pistola". I buchi nella trama cominciano già adesso: la pistola viene rinvenuta sotto terra, i due si tengono la mano e, vista la natura violenta della morte, sarebbe stato quasi impossibile che restassero così. Confessa un ragazzino di 12 anni, Francesco Messina, nipote di Toni. Il bambino racconta di essere stato costretto a ucciderli dai due amanti decisi a togliersi la vita. Viene trovato un bigliettino di addio. "Ma non viene mai eseguito il guanto di paraffina su Francesco, mio coetaneo ai tempi, né una perizia calligrafica sul biglietto". Lo stesso Francesco, intervistato dal giornale L'Ora di Palermo, nega il delitto poco tempo dopo.

Tutto questo, però, non basta a permettere che l'indagine vada avanti. "La sensazione era che si volesse cancellare il più presto possibile un fatto scomodo per tutta la città. Ricordo che ai funerali di Giorgio non c'era quasi nessuno. A quelli di Toni, invece, c'era un oceano di gente". L'opinione comune è che Toni, così giovane, sia stato traviato da Giorgio, più vecchio di lui di dieci anni. I bisbigli di Giarre negli anni '80, una piccola città che ha difficoltà a fare i conti con l'omosessualità. "Dopo il delitto, il Fuori (Fronte unitario rivoluzionario italiano, ndr) organizzò una manifestazione nazionale a Giarre: il preside di scuola ci disse di non uscire di casa, quel giorno, perché avremmo potuto vedere qualcosa di sconcio".

Alle riunioni del Fuori si incontrano Massimo e Gino, che Giarre le conoscono per essere scesi in piazza, già quarant'anni fa, contro l'omofobia che ha ammazzato Giorgio e Toni. "Non siamo mai stati a favore delle unioni civili – spiega Massimo – Abbiamo combattuto e combattiamo per una legge che riconosca il matrimonio per tutti". Poi arriva lo scorso inverno. Una malattia colpisce Gino, che resta in ospedale per due mesi durante la pandemia. "Per la prima volta eravamo separati, lui lottava tra la vita e la morte e io lo aspettavo, come se lui fosse andato in guerra – prosegue Milani – Così ho deciso che se lui fosse tornato da me avremmo fatto una grande festa". "E quale festa migliore – interviene Gino – di un matrimonio?".

La data non può essere più intima. "Personale e politica come tutta la nostra vita", aggiungono. Ricordare il delitto di Giarre e portare i bouquet da sposi sulle tombe al cimitero. Nel Comune giarrese, quarant'anni dopo, a celebrare la prima unione civile della città – sulle note di "Io che amo solo te" di Sergio Endrigo –  è il sindaco Angelo D'Anna. "Mi avete dato l'onore – conclude il primo cittadino – di dimostrare come l'amore superi ogni forma di violenza". E aiuti a cominciare a fare pace con il passato. Per ricordare, anziché rimuovere, l'amore di due giovani fatti trovare morti con le mani intrecciate. "La strada da fare è ancora tanta – proseguono Massimo e Gino – Ogni volta che si fa un passo avanti, se ne fanno tre indietro. Abbiamo la classe politica più omofoba d'Europa: di ogni violenza devono considerarsi responsabili. La storia li ha già condannati".

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