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Libia, Susan Rice accusa Gheddafi: Viagra ai soldati dietro l’escalation di violenze

L’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Susan Rice, ha denunciato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che il regime di Gheddafi starebbe distribuendo viagra ai suoi soldati per fomentare aggressioni sessuali contro le donne. Lo stupro come arma di guerra.
A cura di Cristian Basile
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Libia guerra

La meschinità umana raggiunge livelli di massimo abominio durante i conflitti: la paura, l'eccitazione, l'odio formano molto spesso un mix micidiale che portano i soldati a compiere i gesti più efferati. Tutte le guerre ci mettono davanti a scenari apocalittici, tutte le guerre mostrano in maniera lampante le brutalità di cui l'uomo è capace ma la denuncia di ieri da parte dell'ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Susan Rice, sembra superare ogni terribile immaginazione.

Secondo quanto dichiarato dalla Rice davanti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, il regime di Mu'ammar Gheddafi, starebbe distribuendo viagra ai suoi soldati per fomentare aggressioni sessuali contro  i "nemici". L'ambasciatrice non ha svelato la fonte dell'informazione anche se un altro diplomatico presente alla riunione ha spiegato che la rappresentante statunitense voleva dimostrare che la coalizione internazionale "si trova di fronte ad un avversario atipico che commette atti riprovevoli". Questa è stata la risposta del paese nordamericano alle affermazione di paesi come la Russia che considerano eccessiva l'offensiva aerea contro la Libia dei paesi alleati.

La notizia delle violenze sessuali da parte dei soldati del regime, in realtà era già apparsa sul giornale sensazionalista "Daily Mail" che citava Michael Mahrt, di Save The Children, che parlava di moltissimi testimoni di aggressioni sessuali a minori. L'organizzazione umanitaria Human Rights Watch ha dichiarato di non avere nessuna prova sulle violenze di massa e di non aver trovato vittime o testimoni che possano confermare questa brutale strategia di Gheddafi. Fred Abrahams dell'HRW, ha dichiarato: "Abbiamo pochi casi credibili di aggressioni sessuali ma in questo momento non ci sono prove che suggeriscano che si tratta di azioni sistematiche o di ordini ufficiali del regime. Non possiamo provare la distribuzione di Viagra o preservativi. Non lo escludiamo, ma non abbiamo prove".

Qualche settimana fa, la rappresentante speciale dell'ONU sulla violenza sessuale nei conflitti armati, Margot Wallstrom, aveva criticato il Consiglio di Sicurezza per non aver menzionato questo tipo di crimine nelle due ultime risoluzioni sulla Libia. La Wallstrom aveva ammesso che i sospetti non erano stati confermati ma aveva anche citato il caso di Eman Al Obaidi, la donna che a marzo aveva fatto irruzione in un Hotel di Tripoli, dove alloggiava la stampa internazionale, per denunciare le violenze dei militari di Gheddafi.

Già in un articolo dello scorso 22 aprile apparso su La Repubblica si leggeva: "Il regime di Gheddafi usa lo stupro come arma di guerra anche nella martoriata Misurata, dove sono state riportate decine di casi di donne vittime di violenze sessuali da parte di militari. ‘Non avete idea di cosa sta succedendo lì, dove nelle case le donne sono violentate e mutilate', ha dichiarato pochi giorni fa il vicario apostolico di Tripoli, monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, spiegando di aver appreso di stupri in atto da alcune donne musulmane della capitale libica".

C'è, comunque, chi considera la denuncia dell'ambasciatrice americana come mera propaganda per giustificare l'azione armata alleata nel paese di Gheddafi e, certamente, questa non è un'ipotesi da scartare a priori. Purtroppo, però, la storia insegna che sempre più spesso le violenze sessuali sono, più che una conseguenza della guerra, una vera e propria arma di guerra. Proprio per questo motivo il 19 giugno del 2008 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che classifica lo stupro come un'arma di guerra, definendolo uno strumento utilizzato "per umiliare, dominare, instillare paura, cacciare e/o obbligare a cambiare casa i membri di una comunita' o di un gruppo etnico".

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