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Lecce, il prete del carcere: “De Marco non è un mostro: portava dentro profondo disagio”

“Nascondeva un disagio interiore molto forte, non è un mostro”. Così don Sandro, il cappellano del carcere di Borgo San Nicola che venerdì scorso ha ricevuto la confessione di Antonio De Marco, l’infermiere arrestato per l’omicidio dei fidanzati di Lecce. “Ha subito nelle ultime settimane uno stress psicoemotivo notevolissimo – dice il religioso – non è un mostro”.
A cura di Angela Marino
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"Mi è sembrato un ragazzo a modo, garbato, educato. Insomma, non è un mostro" così don Sandro d'Elia, il cappellano del carcere di Borgo San Nicola, ha descritto il ventunenne Antonio De Marco, da nove giorni in carcere per il duplice omicidio dei fidanzati Eleonora Manta e Daniele De Santis. Il religioso ha incontrato l'ex tirocinante infermiere venerdì scorso per ricevere la sua confessione e per dargli conforto spirituale.

"L'ho trovato molto provato, stanco – racconta don Sandro – perché ha subito nelle ultime settimane uno stress psicoemotivo notevolissimo. Ma Antonio era anche presente a se stesso, non era confuso. L'ho trovato, anzi, consapevole di quello che è successo". Domenica scorsa il neodetenuto ha ricevuto la visita della sorella maggiore, con la quale ha parlato per circa un o'ora. A breve anche l'incontro con la made che, secondo quanto afferma il cappellano, temerebbe. "Ho visto la sua difficoltà, la sofferenza all'idea di un primo contatto con i genitori dopo quello che ha fatto. L'ho visto consapevole e pentito". Sua madre, la signora Rosalba Cavalera, alcuni giorni fa ha scritto una lettera ai genitori delle vittime per chiedere perdono a nome di suo figlio per il dolore cagionato. Le famiglie, tuttavia, hanno scelto di rispondere con il silenzio.

Al carcere, dove resterà fino al processo, Antonio deve ancora abituarsi. "Ho cercato di portare conforto nel vortice di emozioni che sta vivendo adesso. Abbiamo parlato del suo futuro, gli ho spiegato che, anche se per molti anni la sua vita non sarà più all'esterno ma in un carcere, può continuare a studiare e a lavorare. Non sa nulla del carcere, ha parlato poco ma credo che abbia riflettuto molto". Mi ha parlato – continua il cappellano – di com'era la sua vita prima che entrasse in carcere, la scuola d'infermieri e poi i turni in ospedale, nelle corsie, a contatto con gli ammalati. Gli piaceva studiare e gli piaceva fare quel lavoro". "Antonio – conclude don Sandro – Nascondeva un disagio interiore molto forte che non ha mai condiviso con nessuno che poi è esploso".

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