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Matteo Messina Denaro

La sorella di Matteo Messina Denaro fa scena muta davanti al Gip. L’avvocato: “L’ho trovata bene”

Rosalia Messina Denaro, la sorella del boss Matteo arrestata venerdì scorso a Castelvetrano per associazione mafiosa, si è avvalsa della facoltà di non rispondere nel corso dell’interrogatorio davanti al Gip Montalto. L’avvocato: “L’ho trovata in buone condizioni considerando la situazione”.
A cura di Ida Artiaco
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Rosalia Messina Denaro.
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Non ha proferito parola durate l'interrogatorio tenutosi oggi al carcere Pagliarelli di Palermo Rosalia Messina Denaro, la sorella del boss Matteo, arrestata lo scorso venerdì 3 marzo nella sua casa di Castelvetrano con l'accusa di associazione mafiosa.

La donna, chiamata da tutti Rosetta, ha fatto scena muta davanti al presidente dei gip Alfredo Montalto. L'incontro è durato pochi minuti e l'indagata si è avvalsa della facoltà di non rispondere, assistita dall'avvocato Daniele Bernardone.

Proprio il legale, raggiunto dai giornalisti al termine dell'interrogatorio, ha fatto sapere che la donna sta bene. "Siamo in una fase embrionale del procedimento, per il resto l'ho trovata in buone condizioni considerando la situazione".

L'arresto del boss Matteo Messina Denaro
L'arresto del boss Matteo Messina Denaro

Sempre ai cronisti che gli chiedevano un commento sulle frasi che la sua assistita avrebbe detto ai carabinieri dopo l’arresto, sostenendo che la sua famiglia era perseguitata dalla giustizia, il legale ha risposto: "Sono aspetti che non attengono la difesa".

Come emerge dall'ordinanza firmata proprio da Montalto, Rosalia, classe 1955 e la più grande delle sorelle di Matteo Messina Denaro, "aiutava, unitamente ad altri sodali e familiari per i quali si è proceduto o si procede separatamente, il capo della provincia mafiosa di Trapani Matteo Messina Denaro; consentiva a quest'ultimo di continuare a esercitare le funzioni apicali di Cosa nostra provvedendo, in un lungo arco temporale, a gestire per suo conto e in suo nome la "cassa" della famiglia mafiosa e garantiva a diversi associati mafiosi, e nel complesso all'intera Cosa nostra di poter comunicare con il loro capo sebbene questi si trovasse in stato di latitanza, costituendo – quale collettrice e distributrice di messaggi da e per quest'ultimo – un punto di riferimento della riservata catena di trasmissione dei cosiddetti pizzini, utilizzati dal medesimo latitante, da numerosi altri sodali e dai suoi familiari per scambiarsi comunicazioni scritte su questioni economiche e strategiche relative alla vita associativa".

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