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Il Pride di Bologna esclude i poliziotti gay: “Nessuna tutela dalle forze dell’ordine”

Il Pride di Bologna non accetterà la partecipazione di Polis Aperta, associazione Lgbtqi+ di lavoratori di forze di polizia e forze armate. “Nelle caserme ambiente intriso di machismo e maschilismo”.
A cura di Davide Falcioni
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Il Pride di Bologna non accetterà la partecipazione di Polis Aperta, associazione Lgbtqi+ di lavoratori di forze di polizia e forze armate. A renderlo noto è stata quest'ultima, "esprimendo il proprio rammarico per le parole utilizzate dagli organizzatori del ‘Rivolta pride' di Bologna che hanno voluto escludere l’associazione e i propri associati dalla sfilata di sabato 25 giugno". L'associazione ha spiegato che è stato chiesto loro non "non presentarci con i loghi e lo striscione dell’associazione, ma di partecipare in modo anonimo, quasi dovessimo nascondere chi siamo. Non è la prima volta che una tale discriminazione viene in atto: al pride di Bologna 2020 la stessa sorte toccò dall'Associazione Plus – Persone LGBT+ Sieropositive". In una nota Polis aperta ammette "non sempre la comunità Lgbtqi+ è stata accolta a braccia aperte", tuttavia i suoi iscritti e iscritte "hanno deciso di metterci la faccia. Di uscire allo scoperto, sfidando ogni convenzione per abbattere diffidenza e pregiudizi. Fin dalla nascita, l’associazione si è impegnata per il riconoscimento dei diritti civili, dalla legge Cirinnà al ddl Zan, per il riconoscimento degli alias alle persone in transizione e dell’omogenitorialità. Perché siamo consapevoli che solo tutelando le molteplici identità individuali della società si garantisce la difesa di quella democrazia che abbiamo deciso di rappresentare indossando una divisa".

Perché il Pride di Bologna ha escluso i poliziotti gay

A meno di due giorni dal Pride di Bologna, dunque, infuria la polemica. Gli organizzatori hanno evidentemente deciso di esprimere una dura critica all'operato delle forze dell'ordine tenendo fuori dalla sfilata l'associazione Polis. Scelta che Rivolta Pride rivendica: "Abbiamo scelto di chiamarci Rivolta in connessione con la notte del 28 giugno 1969 allo Stonewall Inn, quando un gruppo di trans e frocie si rivoltarono contro l’ennesima retata della polizia di New York ai danni della comunità queer che animava il quartiere Greenwich, dando vita al primo Pride della storia. Quello spirito è quello che anima ancora il Rivolta Pride, la volontà di ribellarsi a tutti i sistemi di potere, portata avanti dalle fasce più marginalizzate della società: le persone trans, le travestite, le persone nere e latine, le sex worker, le phroci3, le lesbiche, le persone senza documenti, le soggettività che maggiormente subivano e subiscono ancora oggi la repressione violenta della legge".

Proprio la repressione è il cuore della critica del Rivolta Pride: "Nel nostro manifesto ci sono elementi di elaborazione politica del femminismo anticarcerario, contro le misure punitive come antidoto alla violenza patriarcale, il riconoscimento del lavoro sessuale come lavoro, la critica al razzismo istituzionale che criminalizza l’esistenza delle persone migranti. Queste soggettività non sono tutelate dalla legge né dalle forze dell’ordine, come ci raccontano i numerosi casi di femminicidi e violenze sessuali, violenze nelle carceri e nei centri d’accoglienza, che spesso non vengono riconosciuti anche in seguito a denunce. Gli ultimi dati dell’OSCAD, l’osservatorio della Polizia e dei Carabinieri per la sicurezza contro gli atti discriminatori, ci restituiscono una fotografia della realtà che non corrisponde a quello che viviamo quotidianamente: nell’anno 2020 l’osservatorio nazionale riporta solo un caso di omicidio legato a orientamento sessuale e identità di genere, quando invece la rete TGEU (Transgender Europe) denuncia in quell’anno almeno 4 trans*cidi. A dir poco sottostimati sono anche i casi di violenze sessuali, incitamento all’odio e aggressione, per un totale di appena 61 casi. Il Rivolta Pride vuole essere anche lo spazio di rivendicazione di queste soggettività, che devono sentirsi libere di marciare in uno spazio sicuro. Come realtà del Rivolta Pride, organizzato attraverso un percorso di confronto assembleare dal basso, riconosciamo che l’omolesbobitransafobia è presente in tutti i luoghi di lavoro, anche all’interno della polizia e delle forze dell’ordine. Anzi, spesso è proprio in questi settori che le discriminazioni trovano spazio, incentivate da un ambiente, quello delle caserme, intriso di machismo e maschilismo".

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