
Negli scorsi giorni, alcune persone hanno segnalato alla scrittrice Carolina Capria l’esistenza di un gruppo Facebook chiamato "Mia moglie". Al momento della segnalazione il gruppo contava circa 32.000 iscritti che ogni giorno condividevano, senza consenso, foto delle loro compagne, di donne sconosciute o immagini pornografiche generate con l'intelligenza artificiale. Capria ne ha parlato sul proprio profilo lhascrittounafemmina invitando la sua community a segnalare il gruppo. Al suo appello hanno poi aderito centinaia di persone, che in poche ore hanno mandato in crash il sito della polizia postale, come ha raccontato sul suo profilo Instagram la scrittrice e attivista Carlotta Vagnoli.
Nonostante gli sforzi per portare il caso all'attenzione dell'opinione pubblica, sono stati in pochi a cogliere la gravità di quanto accaduto. Scarsa la copertura mediatica soprattutto nei tg e sulle testate cartacee – nessuno dei principali quotidiani italiani ha messo la notizia in prima pagina – e altrettanto poche le segnalazioni sul web e sui social fuori dalla bolla "femminista". Il caso del gruppo Facebook, solo oggi rimosso da Meta, sparirà dall’attenzione generale tra qualche ora e probabilmente verrà archiviato anche dalle forze dell'ordine come l'ennesimo caso di diffusione di materiale non consensuale sul web.
Sono infatti moltissimi i gruppi pubblici e privati in cui vengono condivise immagini e video senza il consenso dei diretti interessati o delle dirette interessate. Circolano sul web, soprattutto su Telegram e Whatsapp, dove i controlli sono meno rigidi che su altre piattaforme. Non a caso, dopo le numerose segnalazioni il gruppo – che nel frattempo aveva visto crescere il numero dei follower – potrebbe aver trovato altre collocazioni. Si tratta di un sistema ormai strutturale per cui servirebbe una risposta capillare e incisiva. Come raccontato dalla stessa Capria, grazie a una breve ricerca effettuata solo su Facebook è possibile imbattersi in decine di gruppi simili che contano migliaia di iscritti. Del resto non ci vuole un'inchiesta per saperlo, basterebbe forse che gli uomini iniziassero a raccontare le loro esperienze per scoperchiare questo vaso di Pandora fatto di chat e link a gruppi Telegram per soli uomini. Tutto questo avviene in un clima di omertà alimentato dalla certezza dell’impunità da parte di chi diffonde questo materiale, anche se si tratta di un reato a tutti gli effetti. Mentre la notizia sparisce dalle poche homepage che ne hanno parlato, le immagini private di migliaia di donne continuano a circolare indisturbate in rete. Si tratta di donne che hanno subito violenza e che meriterebbero attenzione e giustizia come è accaduto in altri paesi.
In Francia per molto tempo ha tenuto banco il caso di Gisèle Pélicot. Il processo contro il marito e gli uomini che avevano abusato di lei è stato seguito dalla stampa e dai media di tutto il mondo diventando un caso politico a tutti gli effetti. Dominique Pélicot, l’ex marito di Gisele, si metteva in contatto con gli uomini che volevano abusare di lei online per poi filmare e fotografare gli stupri. Fu proprio grazie a quel materiale che le autorità poterono risalire ad alcuni degli uomini che avevano violentato la donna. Gisèle Pélicot è diventata un simbolo della violenza contro le donne anche per via della sua scelta di presentarsi alle udienze. La donna ha dichiarando più volte che la vergogna deve cambiare lato, ovvero che non sono le donne a doversi vergognare di aver subito violenza ma gli uomini che hanno commesso quegli abusi.
La vergogna è quella che sembra mancare agli uomini che fanno parte dei numerosi gruppi online in cui vengono condivise foto intime senza consenso. Addirittura molti di loro si vantano di riuscire a fregare il sistema spostandosi da una piattaforma all'altra, da un gruppo all'altro, da una chat all'altra. Le donne per loro non sono persone ma trofei da esibire, oggetti di cui disporre a proprio piacimento e vantarsene coi propri simili, avere la loro approvazione, fa parte di questo rito perverso. La disumanizzazione delle donne è diventato un fenomeno sociale senza distinzione di etnia, età e provenienza, come raccontato da numerose inchieste e della serie Netflix Adolescence.
In tutto questo il silenzio della politica italiana è assordante. Nessuno dei principali partiti ha commentato la vicenda e sono pochissimi gli esponenti politici a essersi espressi su quanto accaduto, come se la sicurezza di migliaia di donne non fosse a rischio, come se la radicalizzazione degli uomini non fosse un problema che ci riguarda tutte e tutti. Aspettiamo il prossimo femminicidio per indignarci, purché la vittima sia una ragazza giovane, bianca e possibilmente di buona famiglia. In caso contrario nemmeno la sua morte interessa a nessuno. Nel frattempo continuiamo la conta delle vittime, che non sono solo le donne ammazzate o picchiate ma anche chi, nel silenzio generale, viene violata da perfetti sconosciuti sul web.
