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Giovanni, il medico italiano che va in Africa per l’emergenza: “Dobbiamo evitare il disastro”

Di emergenze sanitarie, negli ultimi vent’anni, ne ha viste tante. Dall’eccidio in Rwanda alla guerra del Kosovo, passando per l’epidemia di ebola nel 2014. Adesso Giovanni Putoto, medico del Cuamm, è ad Addis Abeba, in Etiopia. Per aiutare le popolazioni africane a fronteggiare l’emergenza coronavirus. Perché in molte aree rurali è già una sfida lavarsi le mani o restare in isolamento.
A cura di Luisa Santangelo
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Giovanni Putoto
Giovanni Putoto

Sessant'anni, una carriera a confrontarsi con le emergenze del mondo: Uganda, Rwanda, Kosovo, l'epidemia di ebola. E adesso il Covid-19 in Etiopia. Giovanni Putoto è un medico della Ong Cuamm – Medici con l'Africa. È partito la scorsa settimana per Addis Abeba e adesso sta trascorrendo un periodo di quarantena in un albergo individuato dalle autorità etiopi. "Per certi versi, sono misure molto simili a quelle del governo italiano", racconta via Skype a Fanpage.it.

Responsabile per l'emergenza dell'organizzazione non governativa, Putoto  – quando potrà uscire – si occuperà dell'organizzazione del lavoro in alcuni dei 23 ospedali, in otto Paesi africani, gestiti dalla sua Ong. Perché se è vero che in Africa è stata affrontata nel 2014 l'epidemia di ebola (letale nel 70 per cento dei casi), altrettanto vero è che non ovunque quell'esperienza di assistenza sanitaria è stata continuata e messa a frutto. "Qui dobbiamo fare i conti con una carenza di risorse importante", continua il medico. I test del tampone sono pochi, i dispositivi di protezione individuale devono essere limitati al solo personale sanitario, perché non ce ne sono a sufficienza, le strutture non dispongono di tecnologie adeguate.

I posti letto di Terapia intensiva, che in Italia sono stati incrementati per fare fronte all'emergenza, nel continente africano non sono paragonabili a quelli di qualunque Paese europeo. Lì sono uno per milioni di abitanti, e spesso non possono garantire l'erogazione dell'ossigeno. Cosa che, per gestire il nuovo coronavirus, è essenziale. In tutta la Tanzania ci sono 500 posti, su una popolazione stimata di oltre 50 milioni di persone. "È facile dire che bisogna lavarsi le mani, in Italia. Ma provateci qui, lontano dalle megalopoli. Così come il concetto della quarantena: come si fa la quarantena in una capanna in un'area rurale africana?".

Attualmente, l'Africa è nella fase "iniziale dell'epidemia, quindi siamo ancora in tempo per aiutarla a evitare un disastro". Un miliardo di persone passeggia sull'orlo di "un abisso, anche se è brutto chiamarlo così". Ma può scamparlo. "Questa è una pandemia, colpisce tutto il genere umano – prosegue il medico – Ne usciamo se ci impegniamo tutti insieme". A casa nostra e a casa loro. Così in Italia lavorano migliaia di medici del Cuamm, mentre la stessa Ong ha organizzato una raccolta fondi per donare quattro respiratori agli ospedali di Schiavonia (Padova), Carate Brianza (Milano), Parma e Cremona. "E sono gli stessi colleghi rimasti lì – conclude Putoto – a spingerci a partire. Il nostro cuore è in Africa".

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