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Focolaio Bartolini, i lavoratori: “Azienda non ha mai chiuso, siamo fuggiti per paura di ammalarci”

Dopo lo scoppio del focolaio Covid nel magazzino di Bartolini, ora Brt, di Roveri (Bologna), dove sono stati registrati 64 casi positivi tra facchini e dipendenti, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, Rashid, ha raccontato a Fanpage.it: “Ieri hanno fatto tamponi anche agli autisti, ma dovremo aspettare due giorni per le comunicazioni ufficiali. Siamo scappati per la paura di ammalarci, ma l’azienda non ha mai chiuso. Anche l’Usl ha le sue responsabilità”.
A cura di Ida Artiaco
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"Abbiamo avvisato subito l'Azienda Usl del problema, perché abbiamo dei bambini e avevamo paura di ammalarci e di morire". A parlare a Fanpage.it è Rashid, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza in Bartolini, oggi Brt, di Roveri (Bologna) dove è scoppiato un nuovo focolaio di Coronavirus. Al momento, il numero dei casi accertati è salito a 64, tra facchini e dipendenti dell'azienda, tutti interni al magazzino emiliano. Tuttavia, "ieri hanno fatto i tamponi anche agli autisti – come sottolinea Rashid -, ma ci vorranno almeno due giorni per tutte le comunicazioni del caso". Tuttavia, nonostante questa situazione di evidente difficoltà, l'azienda non ha chiuso, come conferma il rappresentante sindacale: "Lavorano sempre, non si sono mai fermati".

Eppure, è stata questa la prima e unica richiesta avanzata dai lavoratori spaventati a Bartolini e all'Azienda Usl, tramite i sindacati, per limitare la diffusione dell'infezione. "Lunedì 15 giugno – racconta Rashid – abbiamo deciso di metterci in quarantena dopo che abbiamo sentito del primo positivo. Avevamo paura e abbiamo contattato i sindacati, tramite i quali siamo usciti fuori, siamo scappati dalla paura. Abbiamo chiesto che venissero messi tutti in quarantena o sottoposti a test sierologico, ma ci hanno risposto che dovevano rispettare il protocollo nazionale, che non prevede ciò. Abbiamo scioperato per due giorni, poi il mercoledì successivo, di pomeriggio, i facchini sono tornati a lavorare. SiCobas aveva intanto concordato con l'azienda di ridurre il numero di persone e le ore di lavoro. Nello specifico, l'accordo prevedeva un meno 30% nel turno del pomeriggio e un meno 10% in quello notturno. Ma giovedì, quando anche io sono tornato a lavoro, abbiamo sentito del secondo positivo. Me lo hanno detto dei miei colleghi facchini, perché ufficialmente non ci hanno comunicato niente. Siamo usciti di nuovo, io stesso ho parlato con la polizia e i carabinieri telefonicamente e anche i CoBas hanno inviato comunicazioni alla prefettura e all'azienda. Il direttore mi ha detto che avrebbero fermato la squadra del pomeriggio, io ho insistito sul fatto che questa decisione non aveva senso e che avremmo lasciato la responsabilità a loro. E così è stato".

Lunedì 22 finalmente viene fatto il tampone a tutti i lavoratori. "Non posso dare la responsabilità a nessuno, ma la storia è questa – continua Rashid -. Ieri l'azienda era ancora aperta. Intanto sono stati sottoposti a tampone anche i nostri familiari. Noi adesso non abbiamo nessuno richiesta. Non mi importa che il magazzino chiuda o apra, ma che noi tutti siamo in quarantena. Io difendo i miei colleghi, sono riuscito a tirare fuori la squadra con la forza che abbiamo a livello sindacale. Ho rischiato ma non importa". Tuttavia, per il rappresentante dei lavoratori "la colpa non è solo dell'azienda, che dall'inizio dell'epidemia ha messo comunque sempre a nostra disposizione tutti i dispositivi di protezione, dalle mascherine ai guanti al gel. Non è vero quanto è uscito su alcuni giornali questa mattina. Bartolini ci ha sempre fornito tutto. Anche l'Usl ha le sue responsabilità. Noi l'abbiamo avvertita subito, dicendo che avevamo famiglie alle nostre spalle e che avevamo paura di ammalarci, ma ci hanno risposto che per legge non avevano il diritto di fermare l'attività".

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