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Falsifica il test del Dna del figlio per attribuire la paternità al ricco imprenditore: condannata

Come ricostruito a processo, per nascondere al compagno la verità sulla reale paternità del figlio, la donna ha ritirato i risultati di laboratorio e falsificato il test del dna fotocopiando l’originale, modificando varie parti e sostituendo alla fine la parola “incompatibile” con “compatibile”.
A cura di Antonio Palma
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Consapevole che il figlio non era del suo compagno ma frutto di una relazione con un altro uomo, quando il primo ha iniziato ad avere sospetti chiedendo il test del dna, lei non ha esitato a falsificare il referto medico per fargli credere che era veramente suo figlio. Per questa una  donna di Lucca è stata condannata sia in primo che secondo grado al pagamento delle spese processuali mentre il piccolo, che oggi ha quattro anni, dovrà rinunciare al suo cognome in quanto la Corte d’Appello di Firenze ha ordinato agli uffici dello stato civile del Comune di procedere all’annotazione della sentenza a margine dell’atto di nascita, con rettifica del cognome.

Protagonisti della complessa vicenda giudiziaria sono un quarantenne ricco imprenditore lucchese e la ex compagna che ora vive con un altro uomo. Come racconta Il Tirreno, il caso ha inizio tre anni fa quando l'uomo inizia ad avere dei dubbi sulla sua paternità e acquista un apposito kit, preleva un campione di saliva del bimbo e lo invia assieme al suo a un laboratorio di analisi fuori regione affinché venga effettuato il test del dna. Il risultato conferma i suoi dubbi: il figlio non è suo. Quando cerca spiegazioni, la donna smentisce categoricamente e chiede un nuovo test i cui risultati però modifica completamente di suo pugno. Come ricostruito a processo, per nascondere al compagno la verità sulla reale paternità del figlio, ritira i risultati di laboratorio e falsifica il test del dna fotocopiando l’originale, modificando vari parti e alla fine la parola “incompatibile” diventa “compatibile”. L'uomo non ci sta, contatta il laboratorio e chiede una copia che conferma il precedente risultato. La vicenda arriva in Tribunale e il giudice fa eseguire una perizia tecnica che porta a un terzo e definitivo test di paternità, che ribadisce l’esito degli altri due. La sentenza condanna la donna che, secondo i giudici, "ha agito con evidente malafede".

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