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Dagli anni Ottanta alla norma salva Mediaset: la storia infinita di un gruppo chiamato Mondadori

Dalla morte di Mario Formenton alla norma “salva Mediaset” che la maggioranza vuole inserire nella manovra finanziaria: una storia di rivalità, sentenze comprate e maxi risarcimenti.
A cura di Alfonso Biondi
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Cir

GLI ANNI OTTANTA E LA MORTE DI FORMENTON- Negli anni Ottanta la Mondadori è il primo gruppo editoriale del Paese. Oltre al settore libri, può annoverare una gran mole di testate periodiche  e quotidiani: Panorama, Epoca, Espresso, La Repubblica solo per fare qualche nome. Silvio Berlusconi entra nella società verso la metà degli anni Ottanta e ne è socio di minoranza. Fino al 1987 il gruppo è diretto da Mario Formenton (marito di Cristina Mondadori), ma anche la CIR dell"ingegner Carlo De Benedetti detiene quote rilevanti della società. Nel 1987 muore Formeton. Nel 1988 Berlusconi, che sul gruppo ha mire espansionistiche, rastrella le azioni del suo "alleato" Leonardo Mondadori e annuncia pubblicamente di ambire al vertice della società.

IL PATTO CON DE BENEDETTI- In questo momento la Mondadori ha 3 azionisti di riferimento: Berlusconi, De Benedetti e la Famiglia Formenton-Mondadori. Il 21 dicembre dell'88 De Benedetti, grande amico di Mario, sigla un accordo con Cristina Formenton Mondadori e con i suoi figli: entro il 30 gennaio 1991 i Formenton si impegnano a vendergli le loro quote. Il patto è siglato: la Mondadori sarà di De Benedetti.

LA GUERRA DI SEGRATE E IL LODO MONDADORI- Nel novembre del 1989, la famiglia Formenton ha un ripensamento e, nonostante l'accordo firmato l'anno prima, decide di passare le sue quote a Berlusconi che il 25 gennaio del 1990 diventa il nuovo presidente del Gruppo. Ma De Benedetti non ci sta: per lui il patto stipulato resta valido. L'accordo tra le parti, però, non si trova: è così che ha inizio la cosiddetta "Guerra di Segrate ". Le parti in causa non riescono a partorire alcuna soluzione e, per questo motivo, decidono di ricorrere all'arbitrato: si tratta del cosiddetto Lodo Mondadori. Il collegio che dovrà pronunciarsi sulla validità dell'accordo dell'88 tra De Benedetti e i Formeton è composto da 3 giudici scelti  dalle parti e dalla Corte di Cassazione: si tratta di Pietro Rescigno (designato dalla CIR), Natalino Irti (scelto dai Formenton Mondadori) e Carlo Maria Pratis, procuratore generale della Repubblica presso la Cassazione. Il verdetto arriva il 20 giugno del 1990: l'accordo che ha in mano l'ingegnere è valido. Le azioni della famiglia Formenton Mondadori devono tornare a lui. Nove giorni dopo Berlusconi decade da presidente e De Benedetti piazza i suoi uomini al vertice dell'azienda.

IL RICORSO DI BERLUSCONI E L'INTERVENTO DI ANDREOTTI- Ma è un fuoco di paglia. Il fronte composto dai Formenton e da Berlusconi decide di impugnare la decisione davanti alla Corte di Appello di Roma. Il Presidente della prima sezione civile è Arnaldo Valente, giudice relatore Vittorio Metta. La sentenza arriva il 14 gennaio del 91 e conferma quanto anticipato dai principali quotidiani: il lodo è annullato e la Mondadori torna a Berlusconi. La situazione però è molto tesa. Alcuni cronisti dell'Espresso, di Panorama e di Repubblica non accettano il nuovo padrone e, così, a intervenire nella faccenda è il potere politico. Il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti decide di convocare le parti e cercare una proficua mediazione. L'accordo viene raggiunto grazie alla mediazione dell'imprenditore Giuseppe Ciarrapico e prevede che la Repubblica, L'Espresso e alcuni quotidiani e periodici locali tornino alla CIR, mentre Panorama, Epoca e tutto il resto della Mondadori restino alla Fininvest di Berlusconi che, come conguaglio per le testate riceverà 365 miliardi di lire.

Presidente del Consiglio

SENTENZA "COMPRATA"- La sentenza della Corte d'Appello di Roma, quella che per intenderci annullò il lodo favorevole a De Benedetti, passa però sotto la lente d'ingrandimento dei magistrati milanesi che, nelle loro indagini, sono anche aiutati dalla testimonianza di Stefania Ariosto, ex compagna di Vittorio Dotti, avvocato della Finivest e capogruppo di Forza Italia a Montecitorio. L'Ariosto confida agli inquirenti che i giudici Valente e Metta erano amici intimi di Cesare Previti, avvocato e amico di Berlusconi, e testimonia di aver sentito Previti parlare di tangenti ai giudici romani. Il pool di giudici rovista in alcuni conti esteri e riesce a risalire ad alcuni movimenti di denaro alquanto sospetti. I soldi transitavano dalla Fininvest ai conti esteri degli avvocati Fininvest; da questi ultimi poi sarebbero giunti al giudice Metta. Al centro delle indagini c'è una società off-shore riconducibile a Berlusconi: si tratta della famosa All Iberian. Il 14 febbraio del 1991 da All Iberian partono 3 miliardi di lire che approdano sul conto Mercier di Cesare Previti. Il 26 febbraio dal conto di Previti arriva un miliardo e mezzo al conto Careliza Trade di Acampora, altro avvocato Fininvest. Il primo ottobre Acampora dirotta sul conto di Previti 425 milioni che a sua volta li spedisce in due tranche sul conto Pavoncella di Pacifico, altro avvocato Finivest. Pacifico preleva 400 milioni e il 15 e il 17 ottobre li spedisce su un conto italiano. Per l'accusa il beneficiario dell'ultimo passaggio è il giudice Vittorio Metta. Nei mesi successivi Metta dimostra di avere a disposizione una grande liquidità. Poi si dimette e, assieme alla figlia, va a lavorare nello studio di Previti. Vengono rinviati a giudizio Metta, Previti, Acampora, Pacifico e Berlusconi.

LE CONDANNE PENALI- L'udienza preliminare del processo per le tangenti vede il proscioglimento degli imputati. La procura, però, ricorre e il 25 giugno del 2001 la quinta sezione della Corte d'appello rovescia il proscioglimento: tutti gli indagati vengono rinviati a giudizio ad eccezione di Berlusconi. Per lui il reato ipotizzato è quello di corruzione semplice, ma, grazie alle attenuanti generiche e al fatto che la vicenda in questione risale al 1991, scatta una salvifica prescrizione. Nel novembre del 2001 la Cassazione respinge i ricorsi della sentenza di giugno. Nel 2002 il processo Mondadori viene accorpato con quello Imi-Sir (anche qui si indaga su sentenze comprate a suon di mazzette). Il primo grado del processo va in scena nel 2003: tutti condannati tranne Berlusconi che beneficia dell'intervenuta prescrizione. Nel 2005, per la parte riguardante il Lodo Mondadori, vengono tutti assolti perché il fatto non sussiste. Il 4 maggio del 2006 la Cassazione, però, annulla la sentenza d'appello del 2005 e ordina il rifacimento del processo. Per quanto riguarda l'Imi-Sir le condanne vengono confermate. Il processo si rifà e nel 2007 la Cassazione conferma il verdetto della Corte d'appello che lo stesso anno aveva condannato Acampora, Previti e Pacifico a 1 anno e 6 mesi di reclusione. Metta becca 2 anni e 9 mesi.

IL PROCESSO CIVILE E IL MAXI RISARCIMENTO- Sistemati gli aspetti penali della vicenda, ora non resta che occuparsi di quelli civili. La corruzione e le tangenti, come confermato dalla Cassazione, hanno infatti contribuito a viziare il Lodo Mondadori. Da questo assunto parte la causa Civile della Cir di De Benedetti contro la Fininvest di Berlusconi. Il 3 ottobre del 2009 il giudice Raimondo Mesiano (poi oggetto delle attenzioni poco lusinghiere delle tv di Berlusconi) emette la sentenza di primo grado: la Fininvest deve risarcire a De Benedetti 750 milioni di euro  per danno patrimoniale da "perdita di chance". Il giudice ritiene infatti che "grazie alla sentenza ingiusta resa dalla Corte d'Appello di Roma, la Fininvest poté trattare con la CIR da posizioni di forza". Lo stesso giorno Mediaset, ex-Fininvest, annuncia il ricorso in appello.

Il giudice Mesiano tallonato da Mediaset

Mediaset manda in onda un servizio denigratorio su Raimondo Mesiano, il giudice che ha condannato l'azienda di Berlusconi a risarcire 750 milioni di euro a De Benedetti

Il 1° dicembre, di quell'anno, davanti alla Corte, le parti raggiungono un accordo che prevede la sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado in cambio del rilascio da Mediaset alla Cir di una fideiussione a prima richiesta da 806 milioni di euro comprensiva di interessi e accessori. Nel marzo del 2010 la Corte d'appello rileva che il Giudice Mesiano non si è avvalso di consulenti per quantificare l'entità del risarcimento. Viene disposta così una perizia che riduce il risarcimento del 30-35%. La perizia, elaborata dai prof.  Luigi Guatri, Maria Martellini e Giorgio Pellicelli, viene depositata il 22 settembre del 2010. La sentenza d'appello è prevista per la fine di questa settimana, verosimilmente il 9 luglio.

NORMA "SALVA MEDIASET"- Berlusconi però non desiste e, notizia di oggi, pare che nella manovra finanziaria sia stata infilata una norma che potremmo definire "salva Mediaset". La misura obbligherebbe il giudice a sospendere i risarcimenti sopra i 20 milioni di euro dietro il pagamento di cauzione, in attesa della pronuncia della Cassazione. Fino ad adesso era prevista una semplice facoltà.

Continua…

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