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Babysitter lancia bimbo dal balcone, cos’è il corto circuito della ragione che ha colpito la 32enne

Si può parlare di raptus per Monica Santi, la babysitter che ha lanciato il bambino di 13 mesi che le era stato affidato dal balcone? Cosa ha scatenato questa violenza inaudita?
A cura di Anna Vagli
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Difficilmente, o forse quasi mai, mi trovo a discutere di raptus in riferimento ad un crimine. Non lo faccio perché troppo spesso parlarne significa giustificare, o tentare di farlo, fatti di sangue architettati e premeditati in ogni macabro dettaglio. Insomma, troppo frequentemente, quella che mi piace appellare come "reazione a corto circuito" diventa un  jolly psichiatrico per sfuggire dall’assunzione di responsabilità.

Lo scenario, però, potrebbe essere diverso con riferimento a Monica Santi, la baby-sitter di 32 anni che lo scorso martedì ha gettato un bambino di 13 mesi dalla finestra di una villetta a schiera nel modenese. Una ragazza incensurata, una laurea in economia, ma soprattutto una donna priva di uno storico clinico che potesse, almeno apparentemente, lasciar trapelare disturbi di matrice fortemente depressiva.

Indiscutibilmente una violenza fulminea, quella della giovane che, effettivamente, non potrebbe essere giustificata se non con una totale perdita di autocontrollo. Forse, una vera e propria avaria del cervello capace di cogliere impreparato qualsiasi essere umano.  Certo è innegabile la disperazione che trasuda dalle parole udite dalla colf dopo averlo gettato nel vuoto: “Ora è libero”.

Una frase che, effettivamente, fa nutrire seri dubbi sulla sua capacità di intendere e di volere in quei frangenti. Proprio in tal senso, nel suo significato letterale, raptus significa rapimento.

Ma rapimento di chi o che cosa? La risposta è tanto semplice quanto drammatica.  Rapimento della totale consapevolezza e della volontà di agire. In concreto, un sequestro momentaneo delle funzioni della critica che provoca una vera e propria esplosione del sistema emozionale.

Nello specifico, della rabbia. Mette conto un inciso. Il raptus può ritenersi configurato solamente laddove la vittima sia fisicamente debole rispetto all'aggressore. Come in questo caso.

Che poi, a dire il vero, il termine più corretto è psicosi. Quest’ultima, difatti, indica lo stato di generale alterazione in cui un soggetto percepisce l’ambiente e di conseguenza come lo elabora. Il sintomo con cui si manifesta la psicosi è il delirio.

E delirio significa uscire dalla realtà e precipitare in una dimensione in cui diventa impossibile distinguere il vero dall’immaginario.

Non è neppure un caso che la donna continui a ripetere di non ricordare che cosa sia potuto accadere in quegli istanti. Parla di un inspiegabile blackout totale, di uno stato confusionale che ancora non riesce a spiegarsi e di un completo e di uno smarrimento invalidante. Osservando le dinamiche emerse, non ravviso motivi per non crederlo.

La parola quindi alla magistratura. Difatti, gli organi giudicanti potrebbero verosimilmente chiedere la perizia psichiatrica per Monica Santi, che adesso si trova in custodia cautelare in carcere con l’accusa di tentato omicidio.

Qualora non venisse disposta, ha fatto già sapere il suo legale, sarà lei stessa a nominare un consulente tecnico di parte per valutare la capacità di intendere e di volere della trentaduenne al momento del fatto. E, di conseguenza, la sua imputabilità.

Come sottolineavo poc’anzi, mi capita rarissime volte di scomodare la psicosi in presenza di delitti efferati. Questo perché, salvo casi di patologie conclamate, la maggior parte delle violenze sono da imputare al libero arbitrio.

Libero arbitrio che, insieme alla capacità di scegliere tra quello che è giusto e quello che non lo è, dovrebbe guidare una persona a comportarsi secondo rettitudine e conformemente agli umani sentimenti.

Per restare sulla stretta attualità, ad esempio, non di raptus si può parlare per Alessandro Maja artefice della strage di Samarate. Eppure, anche lui, ha descritto una pervasiva ed improvvisa perdita di autocontrollo. Ma lo ha fatto, e continua a farlo, in forza di una evidente strategia difensiva perché, ad uccidere con quelle modalità e con quelle tempistiche, c’è voluto un piano strutturato nei minimi dettagli.

Tornando alla baby-sitter ritengo verosimile l’ipotesi che venga disposta la perizia psichiatrica. Ritengo infatti plausibile che Monica abbia realmente perso in quei terrificanti momenti la piena consapevolezza e la piena capacità di agire. In questo senso,  non costituisce un deterrente il dato per il quale la giovane non abbia confessato nell’immediatezza le sue responsabilità circa la caduta del bambino.

Una violenza inaudita, ma che potrebbe davvero essere scaturita da un corto circuito della ragione. Corto circuito che, a sua volta, potrebbe essere stato conseguenza di un’infermità mentale ovvero di una malattia psichiatrica non conclamata.

Soltanto in queste ipotesi, infatti, potrebbe essere riconosciuta la mancata capacità di intendere e di volere al momento del fatto. Questo perché l’ordinamento penale italiano non riconosce gli stati emotivi e passionali  motivo di esclusione o attenuazione dell’imputabilità. Secondo il legislatore questi ultimi non sono in grado di invalidare la capacità di intendere e di volere di un soggetto.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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