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Altamura: la bomba, il silenzio e la morte di “Zidane”

La bomba carta della sala giochi ad Altamura fece 8 feriti. Si pensò al racket e infatti gli arresti hanno portato all’arresto di Mario Dambrosio, dell’omonimo clan. Tra i feriti c’era Domenico Martimucci, detto ‘Zidane’ per il talento e il numero 10 di una squadra d’Eccellenza sulle spalle . ‘Zidane’ è morto il 1 agosto. Un calciatore vittima di mafia: negli USA ci farebbero un film e qui non ce ne siamo nemmeno accorti.
A cura di Giulio Cavalli
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Come scoppiano da noi le bombe in nessun altro posto mai: anneriscono i muri, schizzano sui giornali e poi si asciugano subito, sparite come se fosse stato solo un rumore senza nemmeno la bomba. Era il 5 marzo quando ad Altamura, in via Ofanto a due passi da Largo Nitti tra le case di una bella zona residenziale , la sala giochi ‘Green Table' salta in aria come si vede solo nei film. Un vigile del fuoco arrivato sul posto la descrisse come "una scena di guerra": vetri dappertutto e "un giovane pieno di sangue riverso sul pavimento che chiedeva aiuto". Otto feriti, un numero da strage: Francesco Fiore, 26 anni e una milza spappolata, Paolo Patella, 25 anni con una mandibola rotta e i frammenti di vetro conficcati nel viso e altri cinque feriti meno gravi. E poi c'era Domenico Martimucci, 26 anni, "Zidane" per i tifosi dell'ACD Castellaneta (Taranto) squadra del Campionato d'Eccellenza.

Martimucci era il calciatore più talentuoso della piccola squadra tarantina, il Castellaneta è una delle tante società calcistiche che diventano presto una piccola comunità intorno ad un pallone: calciatori, dirigenti e tifosi che per un giorno alla settimana sono tutt'uno, loro contro gli avversari. E in quelle partite Domenico, più di una volta aveva dimostrato che i piedi, quelli sì, erano sicuramente di categoria superiore per la facilità con cui teneva la palla incollata al piede e giocava in mezzo al campo con la testa alta. Da qui al numero 10 sulle spalle e il soprannome ‘Zidane' il passo è stato breve, soprattutto per un tifosissimo juventino come lui.

Quando scoppiò la bomba (sono andato a rileggere i quotidiani di quei giorni) la solita marea dello sdegno e l'indignazione si è alzata tra i politici e gli "antimafiosi" per professione: una bomba carta che schioda gli infissi di una sala giochi nell'orario di punta è un boccone ghiotto per le foto, le interviste, il frugamento nelle vite dei feriti e le lacrime degli amici. Qualcuno interrogò anche il Ministro dell'Interno sull'ombra di un racket che in Puglia difficilmente fa notizia, ci fu il corteo della città fotografato dall'alto dalle agenzie e ci furono le promesse (le solite) delle istituzioni.

La sala giochi appartiene a due incensurati che già da qualche tempo lamentavano dei danneggiamenti alle auto dei propri clienti, non fu difficile per le forze dell'ordine seguire la pista dell'intimidazione. Dopo tre mesi di indagini i Carabinieri del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Bari (in coordinamento con la Direzione Antimafia) arrestarono cinque persone tra cui Mario Dambrosio, 43 anni e un cognome di mafia condiviso con il fratello Bartolo, boss della Murge, che avrebbe "punito" la sala giochi per avere perso troppi clienti nel proprio mercato del "gioco d'azzardo" e delle sale slot. Un attentato mafioso. Con una famiglia di mafia. In piena regola.

Lui, Domenico ‘Zidane' Martimucci, il giorno degli arresti era ancora in coma farmacologico, tra le speranze indebolite dei famigliari e dei compagni di squadra che non hanno smesso di ricordarlo in ogni occasione. Il 18 aprile in occasione della partita Trapani – Bari il bomber dei pugliesi Caputo aveva dedicato il proprio goal a Domenico: "Ho segnato per lui, sperando di rivederlo presto in campo" disse il giocatori del Bari durante la conferenza stampa del dopo partita, quando solitamente il calcio ha sempre poca voglia e poco spazio di occuparsi d'altro. Sul letto d'ospedale di ‘Domi Zidane' i compagni del Castellaneta, ottenuta la matematica salvezza, gli hanno lasciato un cappellino rosso della squadra con una scritta a penna sulla visiera: "Domy 10 non mollare. Eccellenza è stata. P.S. Come promesso!".

Domy, invece ha perso il suo spareggio. Non sono bastati gli amici. Non sono serviti nemmeno i messaggi dei campioni, da Chiellini a Marchisio, Storari, Higuain e altri. Domenico Martimucci è morto il primo agosto. Venticinque giorni fa. La squadra, a lutto, l'ha ricordato con una cerimonia sobria e silenziosa anche nel suo stadio, una giornata da zero a zero, di quelle dove nessuno ha nemmeno più voglia di inventarsi un guizzo. La città si è stretta attorno a ‘Zidane' come si stringono le città quando parte un campione. Che gliene frega se ‘Zidane' fosse solo un giocatore d'eccellenza: nelle vittime di mafia rimane sempre quello stesso dolore appuntito.

Fuori, l'Italia, la stampa (e noi) eravamo troppo impegnati a pianificare l'agosto o forse a seguire l'ultimo allarme o l'ultima paura. Da noi le bombe scoppiano così: o muori subito oppure finisce che anche i morti si allungano come il vino con l'acqua, scaduti i termini non ne parla più nessuno. Calcio e mafia, negli Stati Uniti forse ci faranno un film, su una morte così.

Allo stadio comunale "De Bellis", il campo di Domy, un ingresso è diventato "l'ingresso Martimucci". C'è Domenico di spalle, con il numero 10, che cammina su qualcosa che sembra un campo e un cielo. "Eri sempre e resterai il nostro numero 10", c'è scritto. E noi quasi non ce n'eravamo accorti.

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