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Accusata di aver ordinato l’omicidio dell’amante: annullata la condanna a 30 anni di Vincenza Mariani

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna in Appello a 30 anni di carcere nei confronti dell’imprenditrice di 58 anni Vincenza Mariani accusata, poi giudicata colpevole sia in primo che in secondo grado, di aver ordinato l’omicidio di Michele Amedeo.
A cura di Davide Falcioni
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Tutto da rifare. La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna in Appello a 30 anni di carcere nei confronti dell'imprenditrice di 58 anni Vincenza Mariani accusata, poi giudicata colpevole sia in primo che in secondo grado, di aver ordinato l'omicidio del suo amante, il netturbino dell’Amiu Michele Amedeo, dopo che quest’ultimo aveva deciso di lasciarla.

Il processo nei confronti della donna andrà quindi nuovamente celebrato davanti ai giudici della Corte d'assise d'appello di Bari. La Cassazione ha invece confermato le condanne a 30 anni di reclusione per gli altri due imputati convolti nell'omicidio del 51enne Amodeo: Giuseppe Bacellieri, genero della donna ed esecutore materiale del delitti, e Massimo Margheriti, ex dipendente della ditta di salotti di proprietà di Vincenza Mariani, che avrebbe guidato l'automobile che trasportava l'assassino. I giudici hanno confermato anche la condanna a 14 anni e 8 mesi di reclusione nei confronti del quarto co-imputato, il collaboratore di giustizia Michele Costantino, reo confesso di aver fornito ai sicari una macchina rubata e la pistola impiegata per commettere l'omicidio.

Vincenza Mariani era accusata di aver promesso a Margheriti 5mila euro se avesse "punito" l'ex amante della fine della relazione proprio due giorni prima della laurea della figlia dell'uomo. Amedeo fu ucciso con tre colpi di pistola nel parcheggio dell’Amiu, a Bari, alla fine di un turno di lavoro. La Cassazione ha respinto i loro ricorsi di Margheriti e Bacellieri. Per l’imprenditrice, invece, il processo andrà rifatto in corte d’assise d’appello: secondo i giudici della Suprema corte, infatti, il movente omicida pur "dotato di una sua interna plausibilità", è però "slegato da una base probatoria primaria sufficientemente solida e convincente" e "non è elemento di per sé capace di fondare la condanna".

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