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Attivisti volano in Palestina nell’anniversario della morte di Vittorio Arrigoni: arrestati

E’ passato un anno dall’assassinio di Vittorio Arrigoni e se, da un lato, cresce la coscienza sociale riguardo la questione Palestinese, dall’altro si inasprisce l’atteggiamento del governo di Israele, ormai sempre più incline al divieto, all’abuso di potere, alle azioni contrarie al diritto internazionale. Il massacro – insomma – continua e “restare umani” è ogni giorno più difficile.
A cura di Anna Coluccino
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Restiamo umani. Questo era il mantra di Vittorio Arrigoni; il breve monito con cui concludeva ogni suo intervento. Perché lo sapeva bene,Vik, quanto è difficile restare umani se si viene tenuti in gabbia, se si vive in un perenne stato d'assedio, accerchiati come bestie; sapeva quanto è difficile domare gli istinti se si assiste al quotidiano massacro dei corpi, della dignità, dei diritti. Restare umani di fronte a tutto quanto accade, ogni giorno, in Palestina è un gesto eroico. In circostanze in cui l'abuso di potere e il sopruso sono norma, restare umani è un atto di resistenza così impegnativo da richiedere un'instancabile, quotidiana ginnastica d'onestà. A un anno dall'assassinio di Vittorio, quasi nulla è cambiato nei Territori Occupati.  Anzi. La pressione di Israele si fa sempre più opprimente, gli abusi hanno frequenza pressoché quotidiana e il tutto accade nell'indifferenza della comunità internazionale.

Proprio oggi, nel giorno dell'anniversario dell'assassinio di Vik Utopia, millecinquecento attivisti provenienti da tutto il mondo – Israele compresa – hanno organizzato l'iniziativa "Benvenuti in Palestina". Gli attivisti si sono dati appuntamento a Betlemme per prendere parte a una serie di eventi. L'intento era quello di raggiungere in massa l'aeroporto di Ben Gurion a Tel Aviv (l'unico attraverso il quale è possibile accedere ai Territori) dichiarando esplicitamente l'intenzione di visitare la Palestina. L'iniziativa, denominata Airflotilla o Flytilla, ha già un precedente e ricalca le modalità di protesta evidenziate dalle Freedom Flotilla: imbarcazioni di solidarietà che puntano a superare pacificamente il blocco marittimo (illegale) imposto da Israele, con l'obiettivo di consegnare aiuti umanitari e offrire alla popolazione palestinese sostegno umano e logistico. Tali iniziative, pur essendo di carattere innegabilmente pacifico, trovano immancabili e invalicabili muri di fronte a loro. Il governo di Israele è spesso riuscito a impedire la partenza delle imbarcazioni (è accaduto nel luglio 2011 con la Flotilla in partenza dalla Grecia) o le ha bloccate in mare attraverso l'uso della violenza e abusi di inaudita gravità, stigmatizzati anche dalle Nazioni Unite.

Le manie di controllo israeliane, però, non si limitano al mare, estendendosi anche allo spazio aereo. Da sempre, infatti, Israele respinge con preoccupante frequenza le persone su cui "gravano" sospetti riguardo possibili sentimenti filopalestinesi. Chiunque abbia progettato di volare verso la Palestina sa che la prima cosa da fare per essere certi di non essere respinti è quella di nascondere le proprie intenzioni: meglio non portare con sé alcun libro sulla questione israelo-palestinese, meglio chiudere i profili Facebook se si hanno amicizie palestinesi, meglio dichiarare di voler semplicemente visitare la Terra Santa, meglio avere un itinerario da mostrare e qualche amicizia israeliana da sbandierare. Guai a dichiarare onestamente di volesi unire a una qualche ONG che offre sostegno umanitario ai palestinesi, il minimo che può capitare è vedersi negato il visto. Eppure quest'oggi all'aeroporto di Ben Gurion c'erano diversi attivisti filoisraeliani che criticavano il gesto provocatorio dei visitatori internazionali chiedendo loro come mai non si fossero recati in Siria o in Iran, dove i regimi sono apertamente antidemocratici, invece di contestare Israele che – a loro giudizio – rappresenterebbe "l'unica democrazia del Medio Oriente dove le donne beneficiano di eguali diritti, dove la stampa è libera di criticare il governo, dove le organizzazioni umanitarie sono libere di agire, dove viene garantita libertà di culto e dove le minoranze non vivono nella paura". Come se impedire (con la violenza o con le pressioni diplomatiche) l'ingresso di onesti e pacifici cittadini in terra palestinese non rappresentasse un gesto abbastanza antidemocratico, come se imprigionare innocenti operatori umanitari, percuoterli, interrogarli non rappresentasse – di per sé – qualcosa di sufficientemente grave da richiedere una siffatta mobilitazione.


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L'intento degli attivisti era quello di svergognare tale pratica evidenziando come il solo dichiarare di voler raggiungere la Palestina rappresenti per Israele un motivo sufficiente per impedire l'accesso a un territorio che – tecnicamente, giuridicamente, politicamente – non gli appartiene, ma che non riesce a non considerare come proprio. Al termine della giornata, possiamo ben dire che l'obiettivo è stato raggiunto. Malgrado diversi gruppuscoli di attivisti siano riusciti a raggiungere Betlemme, moltissimi sono i casi di mancato imbarco, deportazione o arresto. Sette gli attivisti italiani fermati a Fiumicino, cinquanta a Ginevra, decine a Parigi, molte le segnalazioni riguardanti Manchester; da Istanbul – addirittura – pare non sia partito nessuno. Le compagnie aeree di mezzo mondo  – da Alitalia a British Airlines, da Lufthansa, a EasyJet passando per AirFrance – si sono messe a disposizione del governo israeliano per impedire a cittadini incensurati di volare verso i Territori solo perché i loro nomi erano stati inseriti in non ben definite black-list in cui pare si prenda nota di tutte le persone coinvolte attivamente in iniziative dichiaratamente pro Palestina. Ma non è tutto.

Il governo israeliano non si è limitato a bloccare gli attivisti in patria, per coloro che sono riusciti a superare il primo step di controlli, la polizia israeliana ha apparecchiato una degna accoglienza: interrogatori, deportazioni, imprigionamenti. Al momento, i deportati si contano a decine, mentre sono trentacinque gli attivisti internazionali arrestati, elenco cui occorre aggiungere sei attivisti israeliani recatisi in aeroporto per solidarizzare con l'iniziativa "Benvenuti in Palestina". E se per gli internazionali non sarà poi così difficile uscire di prigione – magari un po' ammaccati – per gli israeliani la situazione potrebbe essere molto più complessa e pericolosa. Per quanto riguarda Vauro Senesi e il mistero che, per qualche ora, ha avvolto le sorti del celebre fumettista, pare ormai assodato come egli sia riuscito a raggiungere Gerusalemme già nella giornata di ieri, aggirando i controlli e mescolandosi a un gruppo di pellegrini. Il nome di Vauro, infatti, sembra comparisse nella stessa black-list che le autorità israeliane hanno presentato stamane ad Alitalia, ma lo stesso Vauro, in mattinata, aveva smentito la notizia riguardante la sua presenza in aeroporto via Twitter. Salvo poi comunicare, sempre attraverso il celebre social network, di essere già in Palestina.

Ecco cosa accade in Palestina-Israele a un anno dalla scomparsa di Vik. E a tutto questo occorre aggiungere gli assalti giornalieri ai danni di manifestanti, i divieti, gli espropri, le demolizioni, le migliaia di azioni contrarie al diritto internazionale, gli abusi perpetrati ai danni di contadini e pescatori che chiedono di poter lavorare la loro terra e pescare nelle loro acque e – su tutto – le bombe che, fino ad appena poche settimane fa, hanno ricominciato a cadere inesorabili, squartando uomini, donne, bambini e ferendo (si spera non a morte) il sovrumano sforzo di conservare la propria umanità.

Update 15 aprile 2012, ore 20:52

Vauro Senesi ha appena affermato di aver voluto prendere in giro il Mossad affermando di trovarsi a Gerusalemme. Il celebre fumettista, in realtà, non è mai partito. Queste le sue dichiarazioni: "Depistando i servizi segreti israeliani, con un biglietto a mio nome, mi sono imbarcato in un charter di pellegrini travestito da suora e sono arrivato tranquillamente qui. […] Ma no, tranquilli solerti funzionari dei servizi israeliani, risparmiatevi una retata di suore alle quali strappare il velo per verificare che non celi il pericoloso terrorista che è il sottoscritto. E' solo una burla. Avrei voluto davvero partire alla volta della Palestina, ne è riprova il mio biglietto, ma impegni di lavoro me lo hanno impedito. Non sono nemmeno andato all'aeroporto di Fiumicino quindi, nonostante la vostra black list, nessuno ha potuto bloccarmi. E' che almeno mi andava di prendere un po' per il sedere la vostra cupa ottusità della vostra leggendaria efficienza. Mi piace pensare, ad un anno dalla sua morte, che, da dov'è, Vittorio Arrigoni si sia fatto una risata. E' il mio modo per rendergli omaggio. Con allegria. Restiamo umani".


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