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Attivisti incatenati davanti al ministero delle Infrastrutture: interviene la polizia

Stamane attivisti di ong, associazioni, centri sociali si sono incatenati per protesta di fronte al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a Roma: “Basta naufragi di Stato, restiamo umani”. I manifestanti chiedono un incontro con il ministro Toninelli, perché si assuma la responsabilità delle scelte del Governo. Una delegazione di 7 persone è stata ricevuta dal capo comunicazione del ministro.
A cura di Valerio Renzi
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È finita l'occupazione della scalinata del ministero dei Trasporti da parte degli attivisti della rete "Restiamo Umani". Al termine di una mattina di mobilitazione, e dopo un incontro giudicato "insoddisfacente" di fronte all'assenza del ministro Danilo Toninelli e alla sostanziale chiusura di fronte alle richieste di ong e associazioni, sono intervenute le forze dell'ordine che stanno trascinando via e identificando i circa cinquanta attivisti che con cartelli e giubbotti si erano incatenati alle 7.00 di questa mattina. I manifestanti stanno opponendo resistenza passiva e stanno venendo trascinati via di peso e identificati uno ad uno dagli agenti.

La protesta: "Basta naufragi di Stato"

Questa mattina decine di attivisti di ong, associazioni, centri sociali si sono incatenati davanti al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a Roma. “Naufragi di Stato”, “diritti annegati”, “restiamo umani”, si legge sui loro striscioni esposti contro la politica del governo sull’accoglienza dei migranti. All'arrivo della polizia gli attivisti sono rimasti seduti sulle scale del palazzo del ministero. Chiedono un incontro al ministro Danilo Toninelli. "Il Mediterraneo è ogni giorno di più teatro di stragi, con centinaia di persone annegate per sfinimento, per panico. Riteniamo che lo stato italiano e l’Unione europea siano responsabili di queste morti, che si sarebbero potute evitare con la presenza di assetti preposti al soccorso, con l’impegno alla creazione di vie legali e sicure per la migrazione, con un’equa distribuzione su scala europea degli sforzi volti a un’adeguata ricezione e accoglienza delle persone in arrivo", dichiarano le attiviste e gli attivisti.

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"Oggi manifestiamo perché bisogna porre subito un freno all’istituzionalizzazione dell’omissione di soccorso e del reato di solidarietà. L’Italia e l’Europa non possono lasciar annegare persone in mare, soprattutto alla luce del fatto che l’obbligo di soccorso, sancito dall’articolo 98 della Convenzione ONU sul Diritto del Mare, è il principio chiave del diritto della navigazione e un dovere statuale, messo in atto attraverso la persona del Capitano a bordo della nave chiamata a intervenire, per compiere un imprescindibile atto di solidarietà: tendere una mano, il fondamento della legge tacita dei marinai".

L’Italia per molto tempo è stata in prima linea nel Canale di Sicilia, con Guardia Costiera e Marina Militare che hanno salvato centinaia di migliaia di vite. Tuttavia, dall’inizio del 2017 a oggi, stiamo assistendo a una stretta sempre più forte al margine d’azione delle navi civili in mare che soccorrono, testimoniano, denunciano. La Dichiarazione di Malta ha avviato (rafforzato?) il supporto europeo alla Libia, concentrato sul contenimento della migrazione e sull’esternalizzazione delle frontiere e responsabilità dell’Unione, combinandosi con la strategia di attacco politico e mediatico alle ONG che prestano soccorso in mare, attuata durante il governo Minniti e portata avanti dal suo successore Salvini.

Intanto, sempre più persone annegano nel Mediterraneo centrale: oltre 1000 confermate dall’inizio dell’anno. Il Canale di Sicilia ha raggiunto il drammatico primato di confine più letale al mondo, con una persona su 7 dispersa nel solo mese di giugno (Fonte: UNHCR). Un tragico traguardo, raggiunto per il quinto anno consecutivo, nonostante il calo nel numero di arrivi. L’elevata perdita di vite umane dimostra quanto sia urgente rafforzare le capacità di ricerca e soccorso nella regione e aprire vie legali di arrivo.

Alle ONG attualmente presenti in questa parte di Mediterraneo è invece impedito di lasciare i porti di attracco per andare a soccorrere e di accedere poi a porti ragionevolmente vicini, per mettere in sicurezza le persone tratte in salvo, che non possono essere riportate in Libia, in linea con i più basilari principi umanitari e in ottemperanza alle leggi applicabili al soccorso marittimo, al rispetto dei diritti umani fondamentali. Ricondurre forzosamente in Libia le persone intercettate in mare dagli assetti libici non è una soluzione, ma si traduce in un respingimento per procura. La Libia non è un “posto sicuro”, come richiede la normativa sul soccorso rispetto al luogo di sbarco. Per questo l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel 2012 per la pratica dei respingimenti collettivi sotto il regime di Gheddafi (caso Hirsi Jamaa v. Italy).

"Non ci riconosciamo in un sistema che finanzia e supporta un ciclo di abusi per cui le persone intercettate in mare, una volta rimandate sulle coste libiche, sono soggette a un regime di detenzione arbitraria e illimitata e condotte in centri di detenzione governativi, quando non vendute a gruppi criminali. In entrambi i casi sono infinite le testimonianze di torture, stupri, estorsioni", proseguono le attiviste e gli attivisti. "I diritti delle persone in movimento sono inalienabili: sono i nostri diritti. Le presenti politiche stanno minacciando i diritti civili, che lo Stato ha il dovere e la responsabilità di proteggere e che non può opprimere, né tantomeno annegare", concludono.

Per porre immediatamente rimedio a questa situazione drammatica, le attiviste e gli attivisti chiedono:

– Di fermare subito il processo in atto di istituzionalizzazione dell’omissione di soccorso, un dovere prescritto dalla legge e radicato nella natura umana;

– Che l’Unione europea si assuma la propria responsabilità in mare, mettendo a disposizione assetti con un chiaro mandato SAR, di ricerca e soccorso;

– Che il governo italiano non impedisca il regolare e legale svolgimento delle operazioni di soccorso, chiudendo i propri porti attraverso dichiarazioni d’intenti su Internet, non traducibili in atti ufficiali e non supportate da alcuna base giuridica plausibile.

– Che i rappresentanti dei governi europei trovino soluzioni strutturali e non emergenziali, né tantomeno basate sulla deterrenza – come quelle attuali – ma piuttosto sulla responsabilità di proteggere i diritti, di tutti: attraverso l’istituzione di vie legali e sicure per la migrazione, che si deve accettare come un fatto umano,, e come un fondamentale diritto.

La rete #RestiamoUmani auspica che si moltiplichino manifestazioni e atti concreti in difesa dei diritti civili e della libertà di movimento . E invitano a partecipare agli eventi di solidarietà che si terranno in questi giorni in Italia e in tutta Europa, come la manifestazione a Ventimiglia (“Ventimiglia città aperta” del 14 luglio prossimo, manifestazione per rivendicare il permesso di soggiorno europeo, il diritto alla mobilità e un nuovo sistema dell’accoglienza), Napoli (19-20 luglio).

All'esterno del ministero sono presenti anche Riccardo Magi e Luigi Manconi, mentre l'ex ministro Madia, giunta qualche minuto fa, è stata duramente contestata.

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