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Opinioni

Adesso non era il momento di Matteo Renzi (che non ha bisogno di scorciatoie)

Il futuro del Partito Democratico appare legato ad un filo sottilissimo: alla tensione fra la componente più viva del partito e l’apparato. E nella definizione del ruolo di Matteo Renzi. Che ha fatto bene a tenersi fuori dal prevedibile caos dei prossimi mesi.
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La sensazione è che davvero si sia arrivati al punto di non ritorno, ad una svolta epocale per quello che è e resta il momento più delicato della storia del Partito Democratico. La proposta delle ultime ore infatti, per quanto vaga e dai contorni tutt'altro che chiari, conteneva una suggestione evidente: Matteo Renzi Presidente del Consiglio. Ne hanno parlato in molti, con reazioni più o meno contrastanti a seconda delle impostazioni personali, più che di corrente o partito. Già, perché se c'era un merito ed un limite al tempo stesso in tale opzione era quello di dividere trasversalmente i partiti, tracciando un solco ancor più netto di quello segnato dall'intervento del Presidente della Repubblica. Senza girarci intorno, l'ipotesi Renzi nasceva dalla constatazione brutale e diretta dell'improponibilità di fronte al Paese di un Governo composto esclusivamente da personalità legate a doppio filo alla vecchia politica e guidato da una figura "certamente non innovativa", come quella di Enrico Letta.

Era chiaro però che il Sindaco di Firenze non avrebbe avuto alcun motivo per accettare un salto nel buio se non a precise garanzie. Quella di avere via libera nella costruzione della squadra di Governo prima di tutto. Un esecutivo giovane, con "le migliori energie dei partiti" (se esistono, tanto per citare Grillo) al servizio del Paese, il più possibile lontano (formalmente, si intende) dalla politica tradizionale e con figure di garanzia provenienti dalla società civile. Il tutto per impostare riforme condivise con i partiti, già tracciate (pur in maniera vaga e sommaria) dai saggi incaricati da Napolitano e in grado di raccogliere il sostegno parlamentare più ampio possibile.

Una variante al Governissimo, insomma. Ma non solo una differenza formale, perché il quadro sarebbe mutato nella sostanza. Renzi avrebbe provato a dare concretezza a quell'andare "oltre" le contrapposizioni (finte) fra centrodestra e centrosinistra, sfruttando il terrore dei partiti di affrontare subito la prova delle urne. I partiti, pur nella diversità delle contingenze, avrebbero avuto modo di ricostruire le loro strutture interne, delegando i compiti di governo ai nuovi "presentabili" scelti dal Sindaco di Firenze. Il Movimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia e Libertà si sarebbero piazzati all'opposizione, contando di agitare la bandiera della purezza e dell'alterità rispetto all'inciucio per definizione.

Tutto semplice e tutti soddisfatti? Non proprio. Perché c'erano molti ostacoli ad un percorso così delineato, di carattere politico e personale al tempo stesso. A partire da quella che è la più grande paura dei leader politici italiani: quella che davvero emerga una figura di sintesi, legittimata dalla volontà popolare ed in grado di guidare il Paese oltre la fase di transizione cominciata vent'anni fa. Il terrore che emerga una figura in grado di incidere profondamente sull'assetto politico – istituzionale del Paese (compito che si è rivelato arduo persino per uno come Silvio Berlusconi). E Renzi incarna al momento questa possibilità, pur con tutte le riserve che sono possibili sulla sua piattaforma politico – ideologica.

Poi c'è un altro aspetto, non di poco conto. Se Renzi davvero vuole provare a prendere in mano le redini del Partito Democratico prima e del Paese poi, non deve in alcun modo prendere scorciatoie. Non glielo perdonerebbero in tanti e lui lo sa bene. E fino ad adesso è proprio questo il merito che gli viene riconosciuto: l'aver evitato forzature, accettando di sostenere Bersani in campagna elettorale, senza strappi (certo, la promessa di rimanere ai margini della contesa politica era ovviamente improponibile, soprattutto in considerazione delle centinaia di migliaia di preferenze raccolte alle primarie) e senza presentarsi come l'uomo della Provvidenza dopo il disastro delle politiche di febbraio. Insomma, tutto sommato, adesso non era il momento di Matteo Renzi. Che rischiava di restare impigliato nella ragnatela di una politica sempre uguale a se stesso, regalando l'ennesima giustificazione alla classe dirigente del Pd. Adesso non era il momento, anche perché la sua strada sarà inevitabilmente (e necessariamente) più tortuosa.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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