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Rossana, discriminata perché trans: il capo non voleva farla vestire da donna

Dopo una diffida formale ha ottenuto una prima vittoria, anche se solo a metà: da quando è tornata al lavoro è vittima di mobbing. “L’hanno messa in uno stanzino da sola, e non può parlare né con i clienti, né con il pubblico. Neanche per telefono. Non va neanche più a mangiare in mensa”, spiega la sua legale.
A cura di Claudia Torrisi
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Tra le maggiori discriminazioni subite dalle persone transessuali ci sono quelle legate al mondo del lavoro: dalle difficoltà a trovare un impiego o farsi accettare ai colloqui, spesso si arriva a casi di vero mobbing dentro le aziende – nel silenzio di colleghi e testimoni. Rossana è una donna transessuale che ha iniziato da un po' di tempo il suo percorso per cambiare sesso, da uomo a donna. Come accade in questi casi, il legale che la segue le aveva consigliato di comunicarlo al suo datore di lavoro – un'azienda nel Bolognese. "Un paio di mesi fa le avevo suggerito di mandare una raccomandata al suo capo, in cui informava che stava transitando e che da lì a poco avrebbe iniziato il suo ‘Real life test'", spiega Cathy La Torre, avvocato del Mit – Movimento di identità transessuale. Il "Real life test" è una sorta di immedesimazione nella vita vissuta dal genere eletto. "Per diagnosticare la disforia di genere – aggiunge la legale – si chiede a una persona di vivere come il genere eletto. L'equipe psicodiagnostica di Rossana le aveva detto che era tempo che iniziasse questa fase. Quindi lei ha mandato la raccomandata al suo capo e gli ha detto che da quel giorno in poi sarebbe stata in tutto e per tutto donna". Alla lettera, però, l'azienda ha risposto con un secco ‘no': non sarebbe dovuta assolutamente venire vestita da donna".

Per i primi tempi Rossana ha vissuto due esistenze. Al mattino andava a lavorare come un uomo, poi tornava a casa riprendeva la sua vita. "Ma questo è stato possibile i primi mesi – spiega La Torre – poi diventa impossibile. Lei sta già assumendo ormoni, il suo corpo è in trasformazione". Il rifiuto dell'azienda, però, era totale: "Addirittura la volevano anche mandare dal loro medico per farla visitare, farle una sorta di terapia riparativa". Dopo dieci giorni, Rossana e la sua legale hanno mandato una diffida formale all'impresa, in cui denunciavano la discriminazione. A quel punto, non potendo più l'azienda opporre diniego, Rossana si è presentata vestita da donna.

"Una vittoria, certo, ma solo a metà. Anzi, solo un primo passo", dice La Torre,  che denuncia che la situazione al lavoro è peggiorata. "Adesso – aggiunge la legale – l'hanno messa in uno stanzino da sola e non può parlare né con i clienti, né con il pubblico. Neanche per telefono. Non va neanche più a mangiare in mensa". Per l'avvocato "si tratta di una situazione di mobbing molto spinta", che le porterà ad agire giudizialmente. "Questi datori di lavoro pensavano di avere la libertà di scegliere come devono essere le persone che lavorano per loro. Hanno pensato: ‘Io questa così non ce la voglio'. Ma non è così. Esiste una cosa che si chiama principio di uguaglianza, e lo capiranno".

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