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Primarie Pd, lo scontro si accende: il voto di domenica rischia di essere un flop

Il congresso del Partito Democratico volge ormai al termine e tra soli 3 giorni gli elettori saranno chiamati a decidere chi sarà il prossimo segretario del Pd. Via via che ci sia avvicina alla fatidica data, i toni si accendono e i tre sfidanti si scontrano su molti temi, primo fa tutti quello relativo alle eventuali future alleanze politiche.
A cura di Charlotte Matteini
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I toni del dibattito tra i tre candidati alla segreteria del Partito Democratico sono decisamente accesi. A tre giorni dalle primarie Pd, che si svolgeranno domenica 30 aprile, Matteo Renzi, Michele Emiliano e Andrea Orlando continuano a scontrarsi a mezzo stampa. Tra i vari contrasti sicuramente il più importante è quello sulle future alleanze del Partito Democratico in ottica governativa, qualora il Pd alle prossime politiche dovesse vincere le elezioni ma non avere abbastanza seggi per governare tranquillamente senza alcun appoggio esterno, come successe già nel 2013 con il governo Letta e, successivamente, con il governo Renzi. Tutto dipenderà dalla legge elettorale che verrà approvata, si spera entro la fine dell'attuale legislatura, che potrebbe modificare gli equilibri attuali e trasformare in maniera piuttosto marcata gli scenari politici. Al momento i sondaggi restituiscono infatti una situazione piuttosto frammentaria e precaria per il Pd, che risulta il secondo partito d'Italia, dietro il M5S, con un consenso pari al 27% circa delle preferenze, in calo da molte settimane. In questo scenario è praticamente impossibile immaginare un governo a trazione solitaria, le alleanze sono necessarie. Sia Michele Emiliano che Andrea Orlando puntano a un'alleanza con i vari partiti dell'area del centrosinistra, per una coalizione ad ampio respiro.

Nel corso del confronto tra candidati andato in onda il 26 aprile su Sky, Matteo Renzi ha invece sostenuto di non essere prevenuto e che se necessario è pronto a creare un nuovo governo di "larghe intese" per garantirsi la stabilità. Andrea Orlando è decisamente contrario alle ipotesi e ha dichiarato che anche in caso di vittoria di Renzi alle primarie Pd, non abbandonerà il partito e che nel caso dovesse manifestarsi nuovamente lo spettro delle larghe intese sarebbe pronto a indire un referendum interno per "decidere se andare con Berlusconi o Pisapia". Pisapia non a caso proprio pochi giorni fa ha lanciato un accorato appello a Matteo Renzi, ricordandogli che, come avvenuto in Francia, la sinistra divisa è destinata a perdere le elezioni e per questo motivo dovrebbe impegnarsi a costruire una coalizione di centrosinistra ampia, richiamando anche gli scissionisti che a inizio anno hanno deciso di abbandonare il Partito Democratico in aperto contrasto con il segretario dimissionario. "La ricostruzione del centrosinistra non può che passare dalla sconfitta di Renzi alle primarie", è invece la posizione dello sfidante Michele Emiliano, che torna a ribadire che attualmente non vede possibilità di ricostruzione della coalizione finché Renzi rimarrà a capo del Pd. Dal canto suo Matteo Renzi, durante un incontro a Pioltello, ha fatto sapere di non essere intenzionato a costituire alcuna alleanza con chi è uscito dal Pd: "Con quelli che se ne sono andati è ovvio che non facciamo l'alleanza. Non perché hanno insultato me, ma perché hanno tradito i militanti".

Altro punto di scontro tra i candidati delle primarie è la potenziale affluenza di domenica: secondo recenti rilevazioni andranno al voto circa il 3% degli elettori, un dato inferiore alle aspettative e alle altre tornale elettorali. Al momento Ipsos stima che gli elettori saranno tra il milione e trecentomila e il milione e mezzo, decisamente in calo rispetto agli iniziali 2 milioni e decisamente inferiore rispetto ai 2,8 milioni di partecipanti del 2013. Secondo il candidato Matteo Renzi, qualsiasi numero superiore al milioni di elettori sarebbe da considerare un successo, mentre di diverso avviso è Andrea Orlando, che sostiene che due milioni siano la soglia minima: "Se restiamo sotto sarebbe un segno di affaticamento del Partito Democratico che renderebbe più complicata la corsa che abbiamo di fronte prima delle amministrative".

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