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Con questo discorso Bergoglio ha stupito tutti ed è diventato Papa Francesco

“La Chiesa deve uscire da se stessa, per andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia”. Era il 9 marzo 2013. Jorge Mario Bergoglio presentava ai cardinali il discorso col quale sarebbe stato di lì a pochi giorni nominato Santo Padre. Solo in questi giorni, ne è stato diffuso il testo integrale.
A cura di Biagio Chiariello
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Il 9 marzo 2013 l’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, leggeva nella Congregazione Generale dei cardinali il testo dal titolo “La dolce e confortante gioia di evangelizzare”. La nota si concludeva: “Pensando al prossimo Papa, c’è bisogno di un uomo che, che dalla contemplazione e dall’adorazione di Gesù Cristo aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso la periferia esistenziale dell’umanità, in modo da essere madre feconda della ‘dolce e confortante gioia di evangelizzare’”, si concludeva la nota del porporato argentino che di lì a giorni sarebbe divenuto Papa Francesco, primo del suo nome. Ogni prelato aveva tre minuti e mezzo di tempo per dire la proprio su come sarebbe dovuto essere il prossimo Pontefice. Jorge Mario Bergoglio scrisse a mano un breve testo oggi conservato presso l’Arcidiocesi di L’Avana, a Cuba.

Quella nota costituisce un documento storico di quello che successe quei giorni prima dell’elezione del Pontefice. A diffonderla è stata il cardinale cubano Jaime Ortega, presente nell’aula al momento in cui il futuro Papa lo pronunciò. Parte di quel discorso era già noto, naturalmente. L’uomo di chiesa ora ha chiesto una copia del testo originale ricevendo anche l'ok per la pubblicazione da parte del Santo Prete.

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Il discorso comprendeva anche altri punti:

“Si è fatto riferimento alla evangelizzazione. È la ragione per la Chiesa. ‘Conserviamo la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre (…) sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo’ (Paolo VI). È lo stesso Gesù Cristo che, dal di dentro, ci spinge.

  1.  Evangelizzare suppone zelo apostolico. Evangelizzare suppone nella Chiesa la ‘parresia’ di sé stessa. La Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e andare nelle periferie, non solo geografiche, ma anche nelle periferie esistenziali: dove alberga il mistero del peccato, il dolore, l’ingiustizia, l’ignoranza, dove c’è il disprezzo dei religiosi, del pensiero, e dove vi sono tutte le miserie.
  2. Quando la Chiesa non esce per evangelizzare, diventa auto-referenziale e si ammala. I mali che, nel tempo, colpiscono le istituzioni ecclesiastiche sono l’auto-referenzialità e una specie di narcisismo teologico. Nell’Apocalisse Gesù dice che Lui è alla porta e bussa. Ovviamente il testo si riferisce al fatto che lui colpisce la porta dal di fuori per entrare… Ma penso ai momenti in cui Gesù bussa dall’interno per lasciarlo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Cristo dentro di sé e non lo fa uscire.
  3.  Quando la Chiesa è auto-referenziale, crede involontariamente di avere una luce propria. Non è più la certezza di mirare il ‘mysterium lunae’, invece va verso un male tanto grave noto come mondanità spirituale. La Chiesa vive per dare gloria degli uni agli altri. In parole povere ci sono due immagini della Chiesa: la Chiesa evangelizzatrice e la Chiesa mondana che vive in sé e per sé stessa. Questa analisi dovrebbe far luce sui possibili cambiamenti e sulle riforme che devono essere fatte per la salvezza delle anime”.
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