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Yahoo cede il web a Verizon: come si è arrivati a questo punto?

Verizon compra le attività web di Yahoo! per 4,8 miliardi di dollari e punta a crescere nel web mobile. Ma come ha fatto l’ex regina della new economy, che nel 2000 valeva 140 miliardi di dollari, a ridursi a questo punto? Per l’assenza di un vero leader…
A cura di Luca Spoldi
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Chi ha vissuto il boom della “new economy” anni Novanta non può non rimanere impressionato dall’annunciata cessione, per 4,83 miliardi di dollari in contanti, delle attività di Yahoo! a Verizon Communications, il principale gestore telefonico mobile americano che da tempo ha identificato il web mobile come il suo prossimo mercato di espansione. La mossa dal punto di vista di Verizon è al tempo stesso rischiosa ma logica: rischiosa perché come già avvenuto con l’acquisizione di Aol per 4,4 miliardi di dollari lo scorso anno, anche questa volta Verizon punta su un gruppo che viene da anni di continue delusioni e perdita di valore.

Logica perché oltre a rilevare l’un tempo celebre portale e altre attività come Flickr e Tumblr che generano un miliardo di utenti unici al mese (di cui 600 milioni in modalità mobile) l’acquisizione di Yahoo! porta a Verizon anche asset tecnologici come Brightroll, la piattaforma che fa incrociare domanda e offerta di pubblicità online, Flurry, il servizio via app per l’analisi dei dati di traffico, e Gemini, il servizio che consente di selezionare e indirizzare ai propri siti target specifici di utenti potenziali.

Tanti piccoli elementi che potrebbero, se ben gestiti, dare vita ad una formula in grado di far lievitare i fruitori dei contenuti di siti come Huffington Post, TechCrunch, Engadget e Makers, già portati in dote da Aol. Certo, il target di Verizon non è, da un punto di vista demografico, lo stesso di Yahoo! e questo potrebbe causare qualche problema. In effetti finora Verizon si è rivolta ai giovani millenials (18-34 anni) e a giovanissimi della generazione X-Y, meno che diciottenni.

Per contro l’ex creatura di Jerry Yang e David Filo attualmente “incontra l’interesse di una generazione di internauti più matura, cresciuta con essa ed ormai di età superiore ai 30 anni. Un’audience molto fedele nel tempo a quella che ai suoi inizi fu una delle storie più leggendarie di tutti i tempi di Silicon Valley: era il 1994 quando Yang e Filo, freschi di laurea alla Stanford School of Engineering, crearono una directory di link chiamata “Jerry and David’s Guide to the World Wide Web” che nel settembre di quell’anno comprendeva oltre 2 mila siti e vedeva 50 mila ricerche al giorno.

Il nome non era quel granché ma i numeri piacquero ad un investitore di ventura leggendario come Sequoia Capital, che investì un milione di dollari per il 25% della neonata Yahoo! (nominando poi come Ceo l’ex top manager di Motorola, Tim Koogle), una quota che già nel 1999 era arrivata a valere 8 miliardi di dollari per poi toccare un picco di 30 miliardi di dollari nel gennaio del 2000, prima dell’esplosione della bolla della “new economy”, quando Yahoo! arrivò a valere in borsa oltre 140 miliardi di dollari.

Se gli utenti sono rimasti nel complesso fedeli, chi ha “tradito” Yahoo che ora cambierà nome ma manterrà le partecipazioni in Alibaba e Yahoo Japan, valutate 40 miliardi di dollari? Forse l’assenza di un vero leader: Filo e Yang rimasero per molti anni a capo rispettivamente della struttura tecnologica e del team di management della società, ma non furono così incisivi come altri fondatori di dot.com di successo come Amazon o Google. A Ceo come Terry Semel, subentrato a Koogle dopo una lunga carriera ai vertici di Warner Bros, mancò il “colpo vincente” pur essendoci andato vicino nel 2002, quando Yahoo fu ad un passo dall’acquisire Google, e nel 2006, quando avrebbe potuto rilevare Facebook.

Guarda caso proprio i due rivali che hanno finito con lo spartirsi buona parte del mercato della raccolta pubblicitaria sul web, mettendo Yahoo in un angolo. Certo, entrambe le acquisizioni sembravano rischiose e inappropriate all’epoca e il top management di Yahoo finì col non procedere anche per non alienarsi la simpatia del mercato, ma spesso è proprio il coraggio di prendere decisioni impopolari che si rivela alla lunga decisivo per rimanere a galla in un settore competitivo come internet.

Del resto nel 2006 quando Google comprò Youtube acquisì un servizio di condivisione di contenuti video che produceva solo perdite e la stessa cosa avvenne nel 2012 quando Facebook rilevò Instagram. Neppur Yang, subentrato a Semel nel 2007, ebbe il coraggio o la possibilità di assumersi simili rischi e così Yahoo ha finito col perdere gradualmente smalto scivolando via via indietro nella classifica non solo di borsa ma soprattutto delle aziende che contavano nel settore internet. Chissà che adesso la mossa di Verizon, che molti analisti criticano come azzardata, non si riveli quella in grado di aprire un nuovo mercato per il gestore telefonico a stelle e strisce. In fondo, come era solito ripetere il mitico numero uno di General Motors, Jack Welch: “se non siete soddisfatti della vostra quota di mercato, ridefinite il vostro mercato”.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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