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Uccisa perché voleva essere madre: Irina, massacrata dall’ex al sesto mese di gravidanza

Mihail Savciuc è imputato per omicidio nel processo per la morte di Irina Bacal, l’ex fidanzata. Irina è stata massacrata a sassate, strangolata e abbandonata in un bosco nei pressi di Conegliano, in Veneto. Era incinta di un maschietto.
A cura di Angela Marino
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La storia di Irina Bacal era quella di ogni ragazza di vent'anni. Bella, una vita spensierata in una casa condivisa con altri ragazzi a Conegliano, la presenza discreta di sua madre, che, alloggiata nella casa dove lavorava come badante, seguiva da lontano la vita della sua Irina. Spensierata, appunto, fino a che a scrivere una pagina terrificante non arriva Mihail Savciuc, 19 anni, studente.

Entrambi moldavi (Irina era in Italia dal 2012) i ragazzi si frequentano per qualche tempo nel freddo paesello del Nordest. Hanno solo un anno di differenza, ma Irina è molto più matura del suo fidanzato, che frequenta l'ultimo anno dell'istituto Ipsia Pittoni. Forse proprio questa disparità li allontana, bruciando quella storia di ragazzi. Lui comincia a frequentare un'altra, Irina però, non può voltare pagina: poco dopo la loro rottura ha scoperto di aspettare un bambino. Di Mihail.

Il ragazzo, però, non è disposto a riconoscere il bambino e le chiede di abortire: lei accetta, senza fare parola né alla madre né alla sorella di quanto sta accadendo nella sua vita. Passano diverse settimane e Irina si rifà viva con il suo ex per dirgli una cosa importante: non ce l'ha fatta, non è riuscita a interrompere la gravidanza, quel figlio lo vuole tenere.

L'appuntamento

Le cose iniziano ad andare male, il ragazzo insiste che lei abortisca, ma ormai è tardi, Irina è incinta di sei mesi e non c'è altro da fare che prepararsi alla nascita del bambino. Una sera di marzo il diciannovenne le chiede di incontrarsi per parlarne. Chissà, deve aver pensato Irina, forse Mihail si è persuaso che deve occuparsi di lei e del bambino. Da quella sera il cellulare della ragazza risulta staccato, Irina non si fa viva né con la sorella né con la mamma, che ne denuncia la scomparsa.

Le indagini degli inquirenti si indirizzano immediatamente verso il giovane moldavo. Il ragazzo – di fatto l'ultima persona ad aver visto Irina – viene fermato all'uscita da scuola e interrogato per ore. Dopo aver negato di essere coinvolto nella scomparsa dell'ex fidanzata, alla fine crolla: "L'ho uccisa io, ora vi mostro dove l'ho lasciata". Il corpo minuto di Irina, con la sua pancia di sei mesi, è nascosto sotto un cumulo di rami e foglie in fondo a un fossato in località Manzana, nel Coneglianese. L'autopsia condotta dal dottor Alberto Furlanetto stabilisce che la ragazza è stata tramortita con dei colpi alla testa, che le hanno sfondato il cranio, ma non è morta per le quelli, bensì per asfissia. In poche parole, è stata strangolata. L'esame conferma ciò che era evidente: Irina era incinta di un maschietto e il bambino era di Mihail.

‘Non volevo sporcare l'auto di sangue'

Nelle ore successive all'arresto il giovane moldavo non esprime alcun pentimento, anzi, i particolari della sua confessione sono un pugno nello stomaco. "Ho preso un sasso che era lì a terra e l'ho colpita alla tempia sinistra una sola volta. Ho visto Irina che perdeva sangue ed era già caduta per terra, già non si muoveva più. Una volta che era a terra l'ho stretta al collo". "La pietra – continua – l’ho messa in macchina, ma prima l’ho avvolta in alcuni fazzoletti di carta perché era sporca di sangue e non volevo imbrattare l’auto". Si è preoccupato della sua preziosa Renault Clio, mentre non ha provato alcun rimorso per la giovane e per il bambino che portava in grembo, tanto che dopo averla strangolata le ha sfilato la collanina ed è andato a venderla al più vicino compro oro. Il ricavato? Lo ha usato per giocare al videopoker nelle ore successive, quando è tornato alla sua vita di studente, come se Irina non fosse mai esistita.

 L'epilogo

Savciuc viene rinviato a giudizio per omicidio pluriaggravato dalla premeditazione, dai motivi abbietti e dallo stato interessante della vittima, oltre che per occultamento di cadavere. Al processo celebrato con rito abbreviato, viene condannato in primo grado a 30 anni di reclusione. Benché il giudice abbia riconosciuto la prevalenza delle aggravanti sulle attenuanti (giovane età e incensuratezza), non viene accolta la richiesta di ergastolo avanzata dal pm.

Mamma Gala e la sorella di Irina, Cristina, di recente hanno esternato la loro amarezza per la sentenza, ma hanno anche annunciato, attraverso il loro legale Andrea Piccoli, la richiesta di valutazione dell’ipotesi di reato di procurato aborto, reato che non è stato contestato all'imputato. Nonostante dal computer sequestrato Savciuc fosse emersa dalla cronologia la ricerca "come si uccide una persona", inoltre, al giovane non è stata riconosciuta neanche l'aggravante della premeditazione.

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