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Torino, il killer di Stefano Leo libero per un errore. Il Giudice: “Chiedo scusa alla famiglia”

Said Mechaquat era libero per un errore giudiziario il giorno che ha ucciso Stefano Leo: per questo il Ministero della Giustizia ha deciso che invierà a breve suoi ispettori per fare luce sulla vicenda, indagare su cosa non ha funzionato e acquisire tutte le informazioni necessarie per capire perché il 27enne non ha mai scontato la condanna a un anno e sei mesi di carcere per maltrattamenti ai danni dell’ex compagna e del figlio. Il giudice Barelli Innocenti: “Chiedo scusa alla famiglia”.
A cura di Ida Artiaco
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Said Mechaquat avrebbe dovuto essere in carcere il giorno che ha ucciso Stefano Leo ai Murazzi del Po a Torino per scontare una condanna per maltrattamenti in famiglia dopo la denuncia della ex compagna. Ma era libero per un errore giudiziario: il 27enne di origine marocchina sarebbe tornato a piede libero per un non precisato ritardo o intoppo nella trasmissione dei documenti dalla Corte d'Appello alla Procura presso il tribunale. E ora il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, vuole vederci chiaro in questa vicenda: per questo ha deciso di inviare nel capoluogo piemontese alcuni ispettori ministeriali per cercare di ricostruire la dinamica di quanto successo e capire cosa non abbia realmente funzionato. Anche perché se la giustizia avesse fatto il suo corso è probabile che, come afferma la famiglia della vittima, il commesso 34enne ucciso lo scorso 23 febbraio "solo perché era felice" sarebbe ancora vivo.

Si tratta, però, soltanto di un'ipotesi. "Come rappresentante dello Stato mi sento di chiedere scusa alla famiglia di Stefano Leo. Non consento di dire che la Corte d'appello sia corresponsabile dell'omicidio. Qui abbiamo fatto quello che dovevamo fare", ha detto il presidente della Corte d'Appello di Torino, Edmondo Barelli Innocenti, sulla mancata carcerazione di Said Mechaquat, precisando che "c'è stato un problema. Posso scusarmene, ma non c'è nessuna certezza che Mechaquat Said potesse essere ancora in carcere il 23 febbraio".

Intanto, oggi la Corte d'Appello parlerà per la prima volta della sentenza mai eseguita nei confronti di Said, mentre né la procura generale né la procura ordinaria che avrebbe dovuto ricevere gli atti per disporre l'ordine di carcerazione hanno voluto commentare senza prima aver visto tutte le carte. La sentenza, che era diventata definitiva il 20 giugno 2016 e condannava l'uomo a un anno e sei mesi di carcere per maltrattamenti ai danni dell'ex compagna Ambra e del loro bambino, è praticamente scomparsa dal 18 aprile 2018: niente è mai arrivato al Palazzo di Giustizia. All'epoca, il pm che aveva sostenuto l'accusa aveva chiesto che non venisse "addolcita" la pena, visti i suoi precedenti. Ma quell'ordine di carcerazione non è mai stato emesso perché la sentenza di condanna irrevocabile si è fermata in Corte d'Appello proprio il 18 aprile 2018 senza arrivare all'ufficio esecuzioni della Procura, nonostante sempre quel giorno i giudici abbiano dichiarato inammissibile il ricorso del suo avvocato. Ma gli atti si sono bloccati lì e la pena non è stata eseguita. È quindi probabile che se quella sentenza fosse stata eseguita, il 23 febbraio scorso Said sarebbe stato in carcere piuttosto che in strada a uccidere Leo. Su questo faranno luce gli ispettori del Ministero. Non è escluso, secondo quanto riferisce l'Ansa, che possano essere a lavoro già dalle prossime ore.

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