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Thyssen, le motivazioni della sentenza: vertici colpevoli della mancata messa in sicurezza

Herald Espenhahn, manager di Thyssenkrupp, è stato condannato a 16 anni e 6 mesi di reclusione. Dopo sette mesi dall’emissione del verdetto, vengono esplicitate le ragioni che motivano tale pena. Nell’incidente all’acciaieria morirono sette operai.
A cura di Daniela Caruso
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Thyssen, le motivazioni della sentenza. Vertici colpevoli della mancata messa in sicurezza

L’amministratore delegato della ThyssenKrupp Herald Espenhahn è stato condannato a 16 anni e sei mesi di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale per la morte dei sette operai della fabbrica di Torino. Sette mesi dopo il verdetto di condanna, vengono esplicitate le motivazioni che ad essa soggiacciono: Espenhahn avrebbe “omesso qualsiasi intervento di ‘fire prevention’ nello stabilimento". Questo quanto sostenuto dai giudici della Corte d’Assise di Torino, per i quali “Espenhahn era perfettamente informato e pienamente consapevole del processo di lavorazione sulla linea 5”.

Le motivazioni della sentenza sono state raccolte in 500 pagine, in cui viene spiegato che il manager è stato condannato al minimo della pena di sedici anni e sei mesi di reclusione, in quanto si sono calcolate anche due attenuanti a favore di Espenhahn. Queste attenuanti sono rappresentate dagli indennizzi ai familiari degli operai deceduti e il fatto di aver ammesso la propria colpevolezza in merito alla “decisione di non effettuare alcun intervento di fire prevention”. Il datore di lavoro, dunque, secondo i giudici, era consapevole del fatto che un intervento simile andava effettuato sulla linea 5 e sulle modalità di lavoro messe in atto su quel tratto, del combustibile e delle sorgenti di innesco sulla stessa linea cinque, spesso soggetta a incendi di diversa entità. Espenhann pensava che su quella linea non potesse avvenire un incidente di grossa portata e che, seppure fosse accaduto, sarebbe stato domato attraverso l’impianto antincendio e grazie alla capacità degli operai di tenere sotto controllo la situazione, qualora si fosse presentata.

Tali motivazioni si basavano sostanzialmente sulla speranza del manager che mai succedesse una disgrazia simile: due ragioni che non si adeguavano alla realtà lavorativa della fabbrica e nemmeno alle competenze dello stesso Espenhahn, che ha sopravvalutato la sicurezza presente in fabbrica e la capacità di gestione dei suoi dipendenti. Come dichiarato dei giudici, una persona competente come Espenhahn non può

confidare solo su di un impianto, neppure a bordo linea. Anche l’altro Anche l'altro fattore indicato da Espenhahn è privo di ogni consistenza: la competenza, l'attenzione, la preparazione dell'ad anche in questa materia impediscono di ritenere che potesse razionalmente ‘confidare' nelle capacità dei suoi collabotratori di Torino, tra l'altro in un momento sempre delicato, come quello della dismissione di uno stabilimento; collaboratori che non disponevano di alcun potere decisionale, autonomo.

La pena affibbiata al manager tedesco ha creato non poche polemiche, ma i giudici tengono a precisare che Espenhahn sapeva bene a quali rischi si andava incontro nello stabilimento di Torino, e che non calcolando le cause di grave insicurezza presenti nell’acciaieria, negligentemente,  ha provocato la morte di sette operai in un incendio fatale, che, come sappiamo, è avvenuto il 6 dicembre 2007.

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