Perché una foto può rovinare un viaggio: la vacanza dipende da ciò che mettiamo sui social

Oggi siamo tutti abituati a essere perennemente connessi e a condividere ogni aspetto della nostra vita online, rendendolo pubblico. A volte lo facciamo con estrema leggerezza, senza riflettere sulle conseguenze. Basti pensare a cosa è successo di recente a Miss Finlandia, costretta a rinunciare al titolo e scusarsi pubblicamente per aver messo online una foto in cui mimava gli occhi a mandorla asiatici, gesto offensivo e razzista condannato anche dal Primo Ministro del Paese. I social si stanno configurando sempre più come un biglietto da visita: ciò che pubblichiamo dice tanto di noi, di chi siamo, delle nostre idee. E i post sui social network diventeranno sempre più decisivi anche nelle nostre esperienze di viaggio.
Donald Trump ha particolarmente a cuore la sicurezza nazionale e la messa in sicurezza dei confini degli Stati Uniti. La scorsa settimana, il governo degli Stati Uniti ha annunciato l'intenzione di esaminare i post degli ultimi 5 anni di tutti coloro che fanno richiesta d'ingresso nel Paese, che si può visitare per 90 giorni senza visto. I visitatori dovranno fornire anche tutti gli indirizzi email utilizzati negli ultimi 10 anni. Insomma, anche una singola foto o un meme potrebbero rivelarsi decisivi.
Lo sa bene un turista norvegese che ha raccontato alla BBC di essersi visto negare l'ingresso negli Stati Uniti perché i funzionari avevano perquisito il suo telefono e avevano trovato un meme del vicepresidente J.D. Vance. La US Customs and Border Patrol (CBP), dal canto suo, ha negato questa versione dei fatti, affermando che la vera motivazione era invece legata al "confessato consumo di droghe" da parte del norvegese. Il sito della CBP osserva che "le perquisizioni di frontiera dei dispositivi elettronici sono spesso fondamentali per determinare le intenzioni di un individuo al momento dell'ingresso negli Stati Uniti".
Donald Rothwell, professore di diritto presso l'Australian National University ed esperto di questioni legali internazionali, ha spiegato alla BBC: "Attualmente, nell'ambito del Visa Waiver Program, i visitatori provenienti da 42 Paesi possono entrare negli Stati Uniti utilizzando la procedura ESTA, ma i diritti alla frontiera sono molto limitati. Ciò è dovuto in parte al fatto che, presentando domanda nell'ambito del Programma di esenzione dal visto, si rinuncia ad alcuni diritti legali negli Stati Uniti come contestare determinate decisioni prese dal CBP alla frontiera. Pertanto, se all'arrivo alla frontiera statunitense un visitatore straniero non ottempera a una richiesta del funzionario di frontiera del CBP, gli può essere negato l'ingresso".
Questo potrebbe scoraggiare potenziale turisti. Il suo consiglio per chi vuole visitare gli USA è uno solo: essere cauti con ciò che si pubblica online in merito a questioni sensibili e delicate, soprattutto quelle inerenti la politica americana o singoli cittadini americani. La situazione, infatti, non potrà che peggiorare secondo l'esperto, che ipotizza controlli sempre più severi e leggi sempre più restrittive per entrare negli USA: "Verranno raccolti più dati digitali sui viaggiatori. Sospetto che assisteremo a un crescente utilizzo dell'intelligenza artificiale per prendere queste decisioni".
E il problema non riguarda solo gli USA, che difatti non sono l'unica nazione ad attuare tali misure di sorveglianza. Sta diventando la prassi ovunque, monitorare l'attività dei viaggiatori sui social media. Nel 2018 la Nuova Zelanda è stato il primo Paese del mondo a introdurre una legge che consente ai funzionari di frontiera di richiedere l'accesso ai telefoni dei viaggiatori, con multe salate per chi si rifiuta di farlo. Situazione simile se non peggiore per gli Emirati Arabi Uniti: qui le autorità possono trattenere gli stranieri che pubblicano o addirittura ripubblicano contenuti diffamatori.
Nel 2022, un'influencer russa e suo marito sono stati espulsi da Bali dopo aver realizzato un servizio fotografico di nudo sotto un albero sacro. Questo fa capire quanto si sia persa la bussola in nome del like e della foto perfetta, anche se significa violare le leggi, farsi nemici le persone del posto, mostrarsi irrispettosi nei loro confronti, nei riguardi delle loro tradizioni e della loro cultura. Bisognerebbe invece tornare a una dimensione di viaggio autentica, realmente calata nei contesti con cui si entra in contatto, puntando su una condivisione social più consapevole.