Davide Scabin: “Quando mi tolsero la Stella fu una sportellata in faccia, la cucina italiana è ferma”

Lo chef piemontese Davide Scabin è uno dei professionisti più innovativi del settore gastronomico: quasi 60 anni, una Stella Michelin, patron del ristorante Combal.zero di Rivoli (TO) che ha chiuso pochi anni fa. Si è raccontato in un'intervista rilasciata a Corriere della Sera, in cui è emersa tutta la sua indole: un uomo determinato, con le idee chiare, che non ha paura del cambiamento, che ama l'innovazione e la sperimentazione (e anche le donne).
Chi è Davide Scabin
Descrivendosi al Corriere della Sera, Davide Scabin ha detto: "Sono sempre stato un uomo un po' primordiale. Oggi però mi sono evoluto: a un certo punto bisogna imparare a scendere dall’albero. Ho smesso di bere per esempio. E faccio il digiuno intermittente: sto 20 ore senza mangiare. In realtà bisognerebbe saltare durante le ore notturne ma io me ne frego del ritmo circadiano: digiuno di giorno e mangio alle due di notte al termine del servizio. Per esempio, un’insalata di ottimo tonno con cannellini e cipollotto di Tropea. Ogni tanto faccio anche il digiuno vero: una volta sono arrivato fino a 5 giorni. Entri in un’altra dimensione, il cervello va ai 500 all’ora. Il problema restano le sigarette: ne fumo ancora due pacchetti al giorno". Attentissimo alla propria privacy, si è comunque aperto anche su questo aspetto rivelando: "L’indole da sciupafemmine resta ma oggi sto con una persona che mi regala il senso di infinito. Nel 2015 avevo detto basta con le donne, poi è arrivata lei che mi ha ridato profondità e fiducia. Il matrimonio? Sono già stato sposato tanto tempo fa. Durò solo 8 mesi, lei come arrivò così se ne andò, dicendo: mi sono sbagliata. Risposarmi? Perché no".

Gli inizi dello chef
Nell'intervista lo chef ha analizzato in modo molto critico il panorama gastronomico attuale, partendo dai suoi inizi. La cucina, in realtà, non è stata ls au prima scelta: "Volevo fare l’hacker. Ma fu mia mamma a spingermi a fare l’alberghiero e a diventare cuoco: aveva paura che studiando informatica non avrei trovato lavoro. Non so ancora se questa è stata una colpa o se la devo ringraziare. Fino ai 33 anni ho sofferto per non aver fatto l'università. Mi sentivo di serie b. Il complesso di inferiorità l'ho alla fine perso ma oggi, potendo, mi iscriverei a una facoltà scientifica".
La sua carriera lo ha portato fino al Combal.zero, considerato uno dei ristoranti più creativi del Paese: "È stato per me casa. Niente mi potrà mai più emozionare come quel posto. Oggi mi manca tutto quello che ho costruito, quell’energia incredibile. Se vincessi al Superenalotto e avessi 30 anni di tempo a disposizione, ricostruirei subito un altro Combal. Sogno di riunire quel branco, anche quelli che negli anni si sono persi per strada o che ho cacciato via, vorrei invecchiare con loro, ammesso che loro vogliano".

La carriera dello chef al Combal.zero
Il locale dopo la prima Stella Michelin ne ottenne una seconda, che fu però tolta nel 2015, un gesto che fece molto scalpore data la fama dello chef e del suo ristorante. "Fu una sportellata in faccia. Il mio vice Beppe Rambaldi andò quasi in depressione. Anche Max Raugi, che oggi dirige la sala di Cannavacciuolo. Erano tutti convinti di essere sotto osservazione per la terza Stella, invece ci declassarono senza mai spiegare il motivo. In quel periodo stavo aprendo a Manhattan, ero spesso lontano. Penso che abbiano voluto dire: vediamo se al Combal ci sono distrazioni. Se gli ispettori hanno trovato errori tecnici, va bene. Però chiedo: qual è il metodo applicato? Diciamolo: se la Michelin oggi vuole declassare uno qualunque dei ristoranti tristellati, un motivo lo trova sempre. Proprio perché la Rossa ha una grande storia alle spalle e credo nel suo valore, sarebbe giusto cominciare a fare un discorso di trasparenza. All’epoca cercai di reggere il colpo per sostenere mentalmente i ragazzi. La mia reazione? Alzai i prezzi. E il ristorante andò sold out per sei mesi".
Scabin chiuse il ristorante nel 2021: "Come tutte le aziende di alto livello, senza un investitore si hanno difficoltà economiche. Non è un segreto. Io ero riuscito a sostenere il ristorante in modo personale ma poi, terminate le consulenze importanti a causa della pandemia, ho dovuto chiudere. Meglio così: allora seguivo troppe cose, se non mi fossi fermato mi sarebbe venuto un infarto". Dal 2021 a oggi, sembra che la situazione nelle cucine italiane sia un po' peggiorata. Lo chef ha le idee chiare sul clima che si respira nel settore: "La cucina italiana oggi è ferma. Questo è un momento di iperstagnazione, di stallo. Non c’è fermento. Non ci sono fratture che fanno nascere il nuovo. Per dire, nella frattura in Francia tra chef creativi e tradizionalisti si infilò la Spagna la cui cucina ha poi dominato per molto tempo. C’era senso di movimento. Oggi no. In compenso molti copiano". Col senno di poi, sa che forse avrebbe potuto fare scelte diverse: "Non mi sono mai affidato a una persona di marketing che valorizzasse l’immagine mia e del ristorante, avrei dovuto". Lui deve scontare il fatto di essere stato un innovatore: "Chi è troppo avanti finisce per stare nell’ombra, prendendosi meno meriti di chi parte dopo. Diciotto anni fa proposi il Tataky di melanzane, fu accolto dal gelo perché allora andavano solo le sferificazioni. Poi arrivò Redzepi e si tornò alla naturalizzazione. Solo che io ero partito prima".