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L’ipocrisia degli highlights di Swiatek-Anisimova, dai momenti salienti sembra un’altra partita

Il video dei momenti salienti della finale di Wimbledon (finita con un doppio 6-0) dà l’illusione di una partita equilibrata, quale non è stata. Nel tempo in cui lo sport si guarda per higlights, questi contenuti devono essere aderenti alla realtà, o raccontare l’epica anche quando non c’è?
A cura di Andrea Parrella
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La finale di Wimbledon Iga Swiatek e Anisimova si è chiusa con un risultato che fa più rumore dell'esito stesso. Il doppio 6-0 con cui la tennista polacca ha conquistato il suo primo Wimbledon in carriera, ottenuto in meno di un'ora di gioco, ha destato un certo stupore e provocato le lacrime dell'avversaria a fine partita. Eppure chi non ha visto la partita per intero, guardando gli highlights disponibili poche ore dopo su Youtube, si è ritrovato davanti a immagini che, rispetto al risultato clamoroso, sembrano raccontare la storia di una partita diversa.

Il trailer della finale di una Wimbledon senza storia

Nel video di due minuti e poco più, in rotazione sui canali Sky, si possono ammirare otto punti, quattro a testa vinti dalle due tenniste, che uno spettatore ignaro della vittoria schiacciante di Swiatek potrebbe confondere come racconto sinottico di una partita combattuta punto su punto, in cui la spunta solo una delle due per uno sforzo maggiore, qualità tecniche superiori o il pizzico di fortuna in più che serve come il pane in eventi di questo livello. La verità invece è un'altra e, alla luce di tutto questo, questi highlights distorcono evidentemente la realtà.

La scelta, che pare quasi consolatoria nei confronti della tennista sconfitta, come a non volere infierire sul risultato di una finale di Wimbledon che non era così rotondo da più di 100 anni, è in linea con un fair play che è tipico del tennis e certamente comprensibile. Sorge tuttavia una domanda: qual è il ruolo di questi contenuti oggi? Una volta li avrebbero chiamati momenti salienti, ma ormai la definizione di highlights è comune a tutti e, anzi, la sintesi rappresenta, di questi tempi, per molte persone, la sola forma di fruizione di un evento sportivo. La quantità di eventi quotidiani ci sommerge, stare dietro a qualsiasi cosa accada quotidianamente è impossibile, così guardare gli highlights di un evento che non abbiamo avuto modo (o abbonamento) di vedere diventa una specie di azione obbligata se si vuole capire come siano andate le cose e non leggere solo un risultato.

Oggi lo sport si guarda per momenti salienti

Cosa devono quindi raccontarci? Il momento più spettacolare, o quello più essenziale? Sono chiamati a riportare il punto più lungo di una partita o la protesta per la quale uno dei due tennisti ha avuto un punto di penalità? Anche grazie alla sua natura frammentata, il tennis è forse lo sport che più di tutti ha beneficiato dell'effetto di parcellizzazione sui social. Ridurre un match a una decina di momenti salienti è possibile perché ci saranno sempre dieci momenti salienti in una partita, a differenza di una match di calcio in cui potrebbe anche non accadere nulla di eclatante per novanta minuti. Tuttavia, quando si sintetizza un evento, di cui per altro si conosce già l'esito, la scelta registica finisce per contare più di ogni altra cosa. Si tratta, a loro modo, di mini documentari. È quindi lecito chiedersi se il realismo, talvolta nella sua crudezza, debba precedere l'estetica del bel gesto, o se ancora l'epica vada costruita anche quando non c'è stata. Una cosa è certa, in termini di aderenza alla realtà, quelli di Swiatek-Anisimova sono highlights ipocriti, distanti anni luce dalla partita a senso unico che è stata la finale di Wimbledon. Ma più che un'accusa è uno spunto di riflessione. Il trailer è un'opera di finzione legittima e ne deriva che il solo modo per sottrarsi è guardare una partita per intero. Per certi versi, gli highlights sono lo spartiacque tra lo spettatore occasionale e l'appassionato vero: chi se ne prende cura ha un'enorme responsabilità.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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