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Francesca Dallapé: “Essere mamma e atleta si può. Il ritiro è stato come andare in pensione a 30 anni”

Francesca Dallapè ha formato con Tania Cagnotto una della coppie più belle dello sport italiano: a Fanpage.it l’ex tuffatrice di Trento racconta la sua carriera e le sue vittorie, la sintonia con la sua compagna e la “nuova vita” dopo lo sport.
A cura di Vito Lamorte
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C’è un’eleganza che non si insegna, quella che nasce dall’acqua e dal sacrificio. Francesca Dallapé l’ha portata con sé in ogni tuffo, in ogni sfida, in ogni rinascita. Dalla piscina di Trento ai podi mondiali, fino all’argento olimpico di Rio 2016 accanto a Tania Cagnotto, la sua è una storia di determinazione, amicizia e coraggio. Oggi, lontana dal trampolino ma mai davvero distante dallo sport, Francesca Dallapè a Fanpage.it racconta un nuovo capitolo fatto di famiglia, passione e consapevolezza. Un dialogo sincero, tra ricordi e sogni ancora in costruzione, con una donna che ha imparato a tuffarsi anche nella vita, sempre con il cuore leggero e lo sguardo rivolto in avanti.

Francesca Dallapè è la protagonista di un documentario (‘Dall’acqua alla vita', che sarà presentato a dicembre al Paladino D'Oro Sport Film Festival 2025) insieme a Tania Cagnotto. Come è nato questo progetto?
"Sì, è un grande motivo d’orgoglio. Se da bambina mi avessero detto che un giorno qualcuno avrebbe fatto un documentario su di me, non ci avrei mai creduto. Il progetto è iniziato nel 2019: io e Tania avevamo smesso dopo Rio 2016, poi entrambe siamo diventate mamme e ci è venuto il desiderio di tornare a gareggiare, stavolta da mamme. Questo ha acceso l’interesse di chi ha voluto raccontare la nostra storia. Poi purtroppo è arrivato il Covid, che ha cambiato un po’ i piani, ma abbiamo deciso di proseguire lo stesso con le riprese".

Diventare mamma e continuare a fare sport ad alti livelli: come si conciliano le due cose?
"È complicato, ma possibile. Le priorità cambiano, la prospettiva anche, ma il messaggio che volevamo dare è proprio questo: quando una donna diventa mamma, resta comunque una donna con sogni, ambizioni e un lavoro. È importante non dimenticarsi di sé. Certo, l’organizzazione diventa più difficile, ma è anche bellissimo condividere questo percorso con i propri figli e mostrare loro che si può continuare a inseguire i propri sogni".

Francesca Dallapé e Tania Cagnotto.
Francesca Dallapé e Tania Cagnotto.

E cosa consiglierebbe a una ragazza che sogna di diventare un’atleta professionista senza rinunciare alla propria identità?
"Le direi di seguire i propri tempi. Io sono diventata mamma a trent’anni, dopo aver raggiunto tanti traguardi sportivi. Le cose cambiano, è normale, ma non bisogna mai smettere di credere nei propri obiettivi".

Lei e Tania Cagnotto, con un gruppo di altre atlete, avete rappresentato l’eccellenza femminile nello sport italiano. Cosa pensa oggi del ruolo delle donne nello sport?
"Penso che si siano fatti tanti passi avanti. Personalmente ho sempre vissuto bene la mia carriera: non ho mai percepito una differenza di attenzione mediatica rispetto agli uomini. Questo è stato un bel segnale per le atlete. Oggi vedo che anche negli sport di squadra, come il calcio femminile, le cose stanno cambiando. È positivo e mi rende felice".

Come è iniziata la sua storia con i tuffi?
"Per caso! Avevo sei o sette anni, facevo nuoto a scuola ma mi divertivo di più a tuffarmi dal bordo vasca. L’istruttrice se ne accorse e scrisse ai miei genitori per propormi un corso di tuffi. Da lì non ho più smesso. Facevo anche ginnastica artistica, ma i miei mi dissero di scegliere: ho scelto i tuffi, e direi che è andata bene!".

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C’è una gara che sente particolarmente sua?
"Sì, i Mondiali di Roma 2009. Fu una gara magica, tutto andò come doveva andare. Era come se l’avessi sognata la sera prima. Quando siamo uscite dall’acqua e ho visto il risultato, ho provato una sensazione indescrivibile".

Il segreto della sua sintonia con Tania Cagnotto?
"La stima reciproca. Lei è un talento naturale, io sono sempre stata più testarda e determinata. Ci completavamo. Io guardavo lei per imparare, lei si fidava di me. Mi disse una volta: ‘Mi fido più di quello che farai tu che di quello che farò io'. Quella frase me la porto ancora dentro".

Il punto più alto della carriera?
"Sicuramente l’argento olimpico a Rio. Dopo il quarto posto di Londra 2012, avevamo un peso enorme addosso. Uscire dall’acqua e sapere di avercela fatta è stata una liberazione".

C’è una persona che consideri fondamentale nel tuo percorso sportivo?
"Oltre ai miei genitori, direi Giorgio Cagnotto. La sua ironia e la sua leggerezza erano preziose nei momenti più difficili. Poi il mio preparatore atletico e la psicologa Daniela Cavelli, che mi ha aiutata tantissimo a livello mentale. Nei tuffi la testa conta quanto il fisico, forse anche di più".

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Dopo il ritiro, com’è stato abituarsi a una quotidianità senza allenamenti serrati e grandi competizioni?
"All’inizio è una liberazione, poi ti manca quella routine fatta di obiettivi, allenamenti, adrenalina. È come andare in pensione a trent’anni: hai ancora tanta energia ma devi imparare a canalizzarla in altro".

Tra i tanti viaggi per competizioni, c’è una città che l’ha colpita più delle altre e che porterà sempre nel cuore?
"Non uno solo. Viaggiare è stato un privilegio enorme: conoscere culture diverse, aprire la mente. È una delle cose più belle che lo sport mi ha regalato".

Dopo anni passati in piscina, ha mantenuto un legame speciale con l’acqua anche nella vita quotidiana?
"(Ride, ndr) In realtà mia figlia mi rimprovera perché non faccio mai il bagno! Non sono una grande nuotatrice da mare, preferisco la spiaggia comoda… un po’ pigra, lo ammetto".

Oggi, se dovesse definire la sua nuova “medaglia d’oro”, quale sarebbe nella vita di tutti i giorni?
"Vedere i miei figli felici e realizzati. È una medaglia che richiede tempo, ma è la più preziosa di tutte"

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