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Federica Pellegrini racconta il sogno che le ha cambiato la vita: “Mi svegliai e avevo male ovunque”

Dietro le bracciate potenti di Federica Pellegrini c’era una giovane donna che ha attraversato stagioni difficili, con momenti anche molto duri che nessuno all’epoca poteva immaginare: “Fin quando una notte non ho fatto un sogno”.
A cura di Paolo Fiorenza
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Sono davvero pochi quelli che in tutti questi anni hanno avuto la percezione di chi fosse davvero Federica Pellegrini al di là della campionessa che ha scritto il suo nome a caratteri cubitali nella storia del nuoto e dello sport italiano, vincendo un oro olimpico e sei mondiali in mezzo a tanti altri successi. Dietro quel corpo statuario e le bracciate potenti che fendevano l'acqua c'era una giovane donna che ha attraversato stagioni difficili, con momenti anche molto duri che nessuno all'epoca poteva immaginare.

Federica Pellegrini col marito Matteo Giunta: sono appena arrivati secondi a Pechino Express
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Nella sua autobiografia in uscita oggi, la 34enne veneta ha deciso di non nascondere nulla, per far capire quanta sofferenza ci possa essere nelle medaglie che brillano in televisione: dai suoi problemi di bulimia e dismorfia quando aveva 17 anni, agli attacchi di panico che sembravano essersi presa la sua carriera qualche anno dopo. Poi una notte Federica fece un sogno che le cambiò la vita, togliendole quel peso enorme che la schiacciava e che non le consentiva di nuotare i 400 metri, distanza doppia rispetto ai prediletti 200.

"Il vero problema era che non avevo nessun problema. Almeno a livello organico – racconta nel libro – Si era semplicemente innescato un meccanismo perverso nella mia testa: non una causa reale, ma la paura che mi venisse una crisi mi faceva venire la crisi. I pensieri arrivavano come una tempesta, non ce la faccio, non ce la faccio, non respiro, non respiro – mentre respiravo benissimo – e a quel punto mi si stringeva la gola e non respiravo più. E non riuscire a respirare fa una paura terribile, è proprio come se la morte ti bussasse sulle spalle. Uscivo dalla vasca, mi calmavo, ripartivo e provavo ad andare avanti. Nella mia testa ero convinta che arrivata ai primi 50 metri sarei morta. Che non sarei più riuscita a respirare. E questo ovviamente mi scatenava il terrore. Lo psicologo da una parte e Alberto (Castagnetti, il suo allenatore, ndr) dall'altra lavoravano per convincermi che niente di quello che sentivo era reale e che non sarebbe successo niente. Ma sembrava che le loro parole non avessero effetto su di me. Fin quando una notte non ho fatto un sogno".

Federica è una delle atlete più vincenti della storia dello sport italiano
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Pellegrini ricorda tutto come fosse oggi: "Ho sognato che ero sul blocco di partenza per i 400 stile libero in non so quale circostanza. So solo che dovevo fare questi 400, tra l'altro in vasca corta, quella in cui mi era partita la crisi. Tre fischi per avvicinarsi al blocco, due fischi per salire. Al ‘take your marks' mi rendo conto di avere ancora l'accappatoio addosso. L'accappatoio della mia squadra, blu con le strisce gialle. Non sapevo cosa fare. L'arbitro stava per dare la partenza e io non potevo scendere e toglierlo. Così, quando ho sentito fischiare mi sono tuffata. Con l'accappatoio. E ho iniziato a nuotare pensando soltanto che non potevo mollare, dovevo arrivare in fondo. L'accappatoio, impregnato d'acqua, era pesantissimo, facevo una fatica mostruosa ma non mollavo, nuotavo, respiravo. Dai, Fede, pian piano la finiamo, mi dicevo. E avevo la sensazione che, bracciata dopo bracciata, qualcosa stesse accadendo. Nuotavo e sentivo che ero abbastanza forte per farcela, che nonostante tutto sarei arrivata in fondo, ci sarei riuscita. E infatti, stremata, a un certo punto ho toccato il bordo: ce l'avevo fatta".

Da quel momento tutto è cambiato per Federica, è stata la liberazione da tutti suoi demoni più nascosti: "Quando mi sono svegliata avevo male dappertutto, ma avevo fatto i 400 metri nuotando con l'accappatoio. Era come se avessi tirato fuori le mie paure e ne avessi impregnato la spugna. Non erano più dentro di me, oscure, misteriose. Le avevo sputate, le avevo materializzate. E adesso che stavano lì, intrise nell'accappatoio, potevo finalmente sfilarmele di dosso. In quel momento ho pensato: ce la posso fare. E così è stato. Il lavoro con Alberto e con lo psicologo, che apparentemente non dava alcun risultato, si era sedimentato dentro di me e alla fine era venuto fuori tutto insieme attraverso quel sogno. Ho imparato a convivere con quella paura, a tenerla a bada. Ma come per una ferita, la cicatrice non se n'è mai andata. Era lì, a ricordarmi quello che poteva succedere".

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