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Fausto Coppi vuol dire Italia: ricordo e orgoglio per il Campionissimo che ci fece grandi

Il 2 gennaio 1960 Fausto Coppi muore in un letto di ospedale a Tortona e inizia il mito, capace di arrivare con la stessa forza fino a noi. Ha preso sulla sua bicicletta un’Italia distrutta dalla Seconda Guerra Mondiale, ridandole speranze e orgoglio, ridefinendo la nostra identità anche agli occhi di tutto il resto del mondo.
A cura di Jvan Sica
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Il 2 gennaio di ogni anno l’Italia ricorda. Accade perché siamo tutti mentalmente un po’ più liberi, in mezzo alle feste natalizie, forse perché tutti i media ce lo ricordano, nonostante siano passati già 61 anni, ma soprattutto perché Fausto Coppi, che il 2 gennaio 1960 si spense in un letto di Ospedale a Tortona, è ancora oggi uno dei nostri più grandi orgogli nazionali.
Fausto Coppi era davvero qualcosa di incredibile da tutti i punti di vista. Lo sarebbe stato anche nel 2021, immaginiamoci che impatto aveva negli anni Cinquanta.

Era la perfezione fatta uomo in bici: postura perfetta di tronco e gambe, i polmoni che giocavano con quantità di ossigeno ingestibile per ogni altro umano, quelle ossa subito pronte a spezzarsi e quasi cave, come gli uccelli che volano sulle montagne, e una determinazione seconda a nessuno, neanche al suo alter ego, Gino Bartali.

Fausto Coppi ci prese dalla spazzatura della storia, dopo una Guerra Mondiale dalla quale uscimmo con gli aggettivi di traditori, luridi, impreparati a tutto, capaci di vendersi la madre e miserabili, ridandoci un motivo per risentirci italiani. I politici hanno fatto, fanno e faranno ancora tanto per dare un senso all’identità italiana, ma solo un Coppi sa far esplodere un senso di comunità e appartenenza senza eguali.

Da miserabili ci fece indicare come campionissimi, come uomini coraggiosi, desiderosi di essere primi al traguardo, anzi “uomini soli al comando”, come diceva in radio Mario Ferretti quando l’Airone era così tanto avanti rispetto agli avversari da aggiungere: “e nell’attesa trasmettiamo musica da ballo”.

E su quella faccia da italiano al tornio o nei campi si poggiò tutta la pressione di una nazione da far risorgere. Il peso era enorme, difficile da gestire sia quando perdeva nello sport sia quando sceglieva nella vita. Scelse di vivere l’amore vero, carnale e passionale con Giulia Occhini. Non accadde perché era la soddisfazione di un vizio, ma perché se senti battere il cuore e il ventre, non puoi sempre stemperare le voglie. E l’Italia lì lo indicò di nuovo, non come il più grande stavolta, ma come puttaniere, fedifrago, padre che abbandona i figli e quel peso ulteriore dovette portarselo dietro in bicicletta, continuando anche a vincere.
Poi arriva la morte e tutti perdonano, ma sono quelli che dimenticano di piangere.

Per fortuna però il 2 gennaio è ancora una piccola festa laica italiana, perché le persone che hanno fatto gridare “Italia!” nella storia sono davvero pochissimi. Lo dobbiamo coltivare sempre con cura il 2 gennaio, nella speranza ben riposta se state leggendo questo articolo dopo aver cliccato da qualche parte, che il nuovo non disperda il ricordo anzi lo rafforzi e lo tramandi.

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