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Perinetti e la morte della figlia Emanuela: “Mi disse: Ho visto mamma in sogno, ha detto che mi aspetta”

Il direttore sportivo non si dà pace per non aver capito cosa stava accadendo: “Mi disse che aveva un tumore ma era anoressia”. In un libro ha raccontato i momenti più dolorosi: “Una dottoressa mi chiese: Lei è pronto? Ma si può chiedere a un padre se è preparato a perdere la figlia?”.
A cura di Maurizio De Santis
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La morte della figlia Emanuela è una ferita profonda per Giorgio Perinetti e la famiglia. Le circostanze e i ricordi più cupi affiorano e aggiungono dolore a dolore: "Uno degli ultimi giorni, mi disse: Ho visto mamma in sogno e mi ha detto che mi aspetta. Lì, ho capito che l’avevo persa". A fine mese ci sarà la triste ricorrenza, sono passati due anni da allora ma è come fosse ieri perché certe cose non se ne vanno mai, le porti sempre dentro con te, stipate da qualche parte nell'anima e pronte a saltare fuori all'improvviso. "Non sono riuscito a salutarla, è morta un'ora prima che arrivassi" e ancora "mi disse che aveva un tumore e si stava curando poi scoprii un castello di bugie", le frasi che spiegano bene cosa ha provato allora e provi ancora oggi. "Di notte, mi chiedo ancora dove ho sbagliato, perché non ho capito", è il tormento interiore che sintetizza lo stato d'animo del padre e dell'uomo che s'è trovato dinanzi a qualcosa di troppo grande anche per chi ha spalle abbastanza larghe.

Il dolore e il grave lutto raccontati in un libro

Non è riuscito a salvarla, non aveva capito che il male oscuro di cui soffriva era l'anoressia e quando si è accorto di tutto era troppo tardi. Nel libro ‘Quello che non ho visto arrivare' Perinetti raccoglie tutte le emozioni, le tiene strette a sé. E fa male. Cominciò tutto a tavola, in un giorno di Ferragosto. "Pranzammo insieme a Mergellina, Manuela era di una magrezza preoccupante – racconta il direttore sportivo al Corriere della Sera – ma giustificava la sua condizione dicendo di avere un tumore che curava con la radioterapia. Mi disse che il 22 agosto si sarebbe operata a Montecarlo". Fu un cambio di programma inatteso: l'intervento era previsto per settembre a Milano "e che ci fossi anche io, ma lei si impuntò per farlo subito e da sola". Mentiva, perché pochi giorni dopo gli arrivò una fotografia rivelatrice. "Me la mandò un amico, vidi che Emanuela era a un evento col principe Alberto e Trezeguet, organizzato da lei. Capii che qualcosa non tornava".

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Il castello di bugie crollato: "Ormai era troppo tardi per tutto"

Il castello di bugie gli crollò addosso ed era troppo tardi per tutto: "In seguito mi è stato spiegato che negare la malattia e dire bugie è la prima difesa di chi è colpito dall’anoressia". Qualche segnale c'era stato ma lui non era riuscito a coglierlo e non riesce a darsi pace. Finito l'isolamento per il lockdown imposto a causa del Covid un giorno Emanuela disse: "Milano è troppo caotica, magari Torino è più tranquilla, perché non vieni anche tu? Non avevo capito che era un segnale, che mi stava chiedendo aiuto perché si sentiva sola".

Il calvario dell'ultimo mese di vita: dopo la visita in ospedale al San Raffaele ("mi curo ma non qui", disse Emanuela) ci fu l'incidente domestico. "Cadde in casa e non riuscì ad alzarsi. Il medico dell'ambulanza la portò in ospedale con la scusa che avendo battuto la testa era necessario fare una Tac. Una dottoressa mi chiese: Lei è pronto? Ma si può chiedere a un padre se è preparato a perdere la figlia?".

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