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Perché la bolla del calcio in Arabia Saudita non farà la stessa fine del campionato cinese

Gli investimenti del fondo PIF, l’apertura ai privati e un appeal globale: la Saudi Pro League punta a ricavi paragonabili ai campionati europei entro il 2030. E difficilmente farà la stessa fine della Cina.
A cura di Benedetto Giardina
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In principio fu la NASL statunitense. Poi provò a farsi sotto la Russia. Infine la breve parabola della Cina. Oggi il calcio europeo guarda con occhio preoccupato gli investimenti dell'Arabia Saudita, in un campionato che già prima dell'approdo di Cristiano Ronaldo era tra i più ricchi d'Asia e che ora punta ad aumentare il proprio valore per piazzarsi subito dietro le cinque potenze d'Europa. O chissà, magari per raggiungerle e superarle. Un piano che guarda al 2030 e che di per sé avrà pure delle similitudini con i precedenti tornei attira-campioni, ma di fatto è diverso. Diverso per la caratura dei calciatori che stanno approdando a Riyad, diverso perché alle spalle c'è un investimento diretto da parte del fondo sovrano saudita, diverso perché il regno stesso vuole aprire ai privati con l'obiettivo di aumentare i profitti dell'intera lega, fino appunto a competere con i campionati europei.

Questione di appeal: la Cina non ha mai avuto i campioni dell'Arabia Saudita

Era il 2015 quando il Guangzhou Evergrande, che aveva da poco salutato gli italiani Diamanti e Gilardino, annunciò l'acquisto di due brasiliani: Paulinho, reduce dal Mondiale casalingo, e l'ex di Milan, Real Madrid e Manchester City Robinho. Gli apripista di una serie di grandi nomi destinati ad approdare in Cina: Ezequiel Lavezzi, Javier Mascherano, Graziano Pellé subito dopo l'Europeo del 2016 giocato da titolare con l'Italia, così come il compagno in azzurro Eder, Gervinho, Alex Witsel che insieme a Hulk era stato in precedenza protagonista di un trasferimento milionario in Russia, allo Zenit San Pietroburgo. Poi la ciliegina sulla torta: Oscar, ceduto dal Chelsea allo Shanghai SIPG nel dicembre 2016 per la cifra record di 60 milioni di sterline. Da futura stella del calcio brasiliano, titolare nel Mondiale 2014 e autore dell'unico gol verdeoro nel celebre (purtroppo per loro) 1-7 in semifinale con la Germania, il fantasista – tuttora in forza al club di Shanghai – è uscito dal giro della nazionale, ma vanta uno degli stipendi più alti nel mondo del calcio.

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Basta leggere i nomi per capire che i grandi investimenti cinesi dell'epoca non hanno nulla a che vedere con i Cristiano Ronaldo, i Benzema, i Kanté e i Brozovic del caso. Palloni d'oro (incluso quello in carica), campioni del mondo e finalisti mondiali, più altri nomi grossi – grossissimi – del panorama internazionale come Roberto Firmino, Ruben Neves e Milinkovic Savic, aspettando altre possibili novità (Mahrez?) da un mercato che non sembra conoscere crisi.

Le squadre saudite non si stanno muovendo alla semplice ricerca di giocatori provenienti dall'Europa, cosa che comunque già facevano ben prima dell'exploit: un anno fa ci giocavano comunque i vari Marega, Talisca, Krychowiak, Luiz Gustavo. Gente non di prima fascia, ma con un passato in Champions League. Un po' come quelli approdati nella Chinese Super League di qualche anno fa, pur senza budget fuori scala per gli standard asiatici.

Investimenti nel calcio in Arabia Saudita: PIF e non solo

Sul livello dei calciatori, la differenza salta già all'occhio. Nel concreto, però, ciò che rende lo sviluppo della Saudi Pro League totalmente diverso da quanto avvenuto in Cina, è la tipologia di investimenti che si prospetta per il calcio saudita. Il piano cinese puntava al 2050, un progetto a lungo termine che di fatto si è arenato, con l'obiettivo di far crescere la nazionale prima che la propria lega. Alle spalle dei club c'era un colosso imprenditoriale cinese, che spesso dava il proprio nome alle squadre, come Evergrande o Suning. In Arabia Saudita c'è invece direttamente il fondo sovrano del regno, PIF, proprietario di quattro club (Al Itthiad, Al Nassr, Al Ahli e Al Hilal), che punta a farsi affiancare in futuro da investitori privati e per farlo ha necessità di far accrescere il proprio appeal anche a livello internazionale. Puntando su grandi campioni, sì, ma anche su una copertura televisiva globale.

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Questo è il progetto, ma è destinato a durare? Se si arriva agli obiettivi posti dal regno saudita, è molto probabile che la Saudi Pro League possa diventare un campionato di livello pari o superiore a quello dei tornei di seconda fascia in Europa. Basti pensare alla previsione sui ricavi commerciali della lega per il 2030: 1,8 miliardi di riyal, pari a circa 430 milioni di euro. Stando alla Deloitte Annual Review of Football Finance 2020, prima della pandemia di Covid-19, nessun campionato europeo al di fuori delle top-5 leagues poteva vantare introiti di questo livello alla voce commerciale. Delle prime cinque leghe in Europa, quella che ha ottenuto di meno nella scorsa stagione è la Ligue 1 francese, con 653 milioni tra sponsorizzazioni e ricavi commerciali. In sostanza, l'Arabia Saudita andrebbe ad occupare la terra di mezzo tra le superpotenze europee e i vari tornei di Turchia, Olanda e Portogallo.

L'obiettivo della Saudi Pro League: competere con le top 5 europee

Un risultato che, se raggiunto da qui al 2030, proietterebbe la Saudi Pro League ad un livello totalmente diverso da ciò che è stato la Chinese Super League. Ma sempre come riportato da Deloitte nel proprio report annuale, il campionato saudita può contare anche su una fanbase in continua crescita: la stagione 2022/23 ha avuto il maggior seguito di sempre nella storia del torneo con 2,2 milioni di spettatori, l'Al Nassr ha avuto un boom sui social dopo l'arrivo di Ronaldo e dopo l'accordo da 130 milioni in cinque anni per i naming rights del torneo con Roshn, sta cercando con IMG di ottenere la maggior visibilità possibile fuori dai confini nazionali, puntando a raggiungere 30 potenziali mercati televisivi. Tra questi, anche l'Italia, con una visione mirata più alla diffusione che al guadagno dai diritti tv. Perché in questa fase, al campionato saudita, interessa aumentare quanto più possibile il proprio appeal. Per avvicinarsi alle big europee e chissà, in futuro, raggiungerle.

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Una visione che nessuna delle altre leghe, al di fuori dell'Europa, ha mai osato avere in passato. Non la NASL nordamericana, che puntava su fenomeni ormai a fine carriera come Pelé, Beckenbauer e George Best. Non la Cina, che pur mettendo sul piatto cifre – per l'epoca – astronomiche, non è mai riuscita ad attirare nomi del calibro dei nuovi volti del campionato saudita e che, nel pieno della crisi economica, ha stretto la cinghia partendo proprio dal calcio (con situazioni che hanno portato anche allo scioglimento di club come il Jiangsu nel 2021). Il progetto della Saudi Pro League, pur non tralasciando i vivai nazionali (è stata annunciata la creazione di un nuovo Player Acquisition Center of Excellence, affidato all'ex dirigente del Chelsea Michael Emenalo), ha obiettivi e investimenti diversi. E il mercato di quest'estate è lì a dimostrarlo.

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