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Modric: “Senza calcio mi sarebbe piaciuto fare il cameriere. Dicevano che ero troppo piccolo per giocare”

Dall’infanzia segnata dalla guerra e dalla vita in un hotel da profugo ai trionfi del calcio mondiale: Luka Modric, che oggi incanta con la maglia del Milan, racconta le sue radici, l’umiltà e il sogno di una vita normale che non ha mai dimenticato.
A cura di Vito Lamorte
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Luka Modric è uno dei calciatori più vincenti e longevi della storia, ma la sua vita è stata tutt’altro che lineare. Nato e cresciuto in Croazia durante gli anni della guerra, da bambino ha conosciuto l’esilio, la paura e la perdita.Il calciatore del Milan, Pallone d'Oro nel 2018, si è raccontato a Aldo Cazzullo e Carlos Passerini del Corriere della Sera con la semplicità che lo ha sempre contraddistinto, dentro e fuori dal campo.

Dopo l’uccisione del nonno, assassinato nel 1991, la sua famiglia fu costretta a lasciare tutto e a rifugiarsi prima in un campo profughi e poi in un hotel a Zara, dove vivevano stipati in una stanza. Nel parcheggio di quell’albergo, tra le macchine e le sirene dell’allarme antiaereo, Modric passava le giornate a giocare a pallone, sognando un futuro diverso: "Ci rifugiammo prima a Makarska, nel campo profughi dell’orfanotrofio. Poi a Zara. Ci diedero una stanza al piano terra: papà, quando c’era, mamma, mia sorella Jasmina e io dormivamo in un unico letto. Fuori, nel parcheggio dell’albergo, giocavamo a pallone da mattina a sera. Io correvo con la tuta del Milan, sognando di diventare un giorno calciatore. Anche le scarpette erano di una marca italiana".

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Modric: "Non avessi fatto il calciatore mi sarebbe piaciuto fare il cameriere"

All’epoca indossava una tuta del Milan, la squadra che amava da bambino grazie all’idolo Zvonimir Boban. Oggi, dopo sei Champions League, un Pallone d’Oro e una carriera leggendaria, si ritrova proprio in Italia con l’obiettivo dichiarato di vincere ancora. Ma il successo non gli ha mai tolto il gusto per la normalità.

Modric racconta di non essersi mai sentito speciale e confessa che, se il calcio non fosse entrato nella sua vita, avrebbe volentieri fatto il cameriere: aveva studiato in una scuola alberghiera e se la cavava bene, soprattutto nel servire ai tavoli: "Nella mia vita non ho mai pensato, neppure per un secondo, di essere superiore a qualcun altro. Se non avessi fatto il calciatore, mi sarebbe piaciuto fare il cameriere".

La sua forza, spiega, nasce dall’amore viscerale per il calcio e dai valori trasmessi dalla famiglia: umiltà, rispetto, sacrificio. Per anni gli dissero che era troppo piccolo e fragile per diventare un professionista, ma lui non ha mai smesso di credere in se stesso anche grazie a Tomo Basic, l'allenatore più importante della sua vita: "Era amico di mio padre. Ci insegnava ad affrontare le ingiustizie. Faceva apposta male a qualcuno e osservava le nostre reazioni. Alcuni si arrabbiavano, altri piangevano perché erano a disagio. Ci spiegava che nel calcio, come nella vita, avremmo visto di tutto, anche le prepotenze. E avremmo dovuto imparare ad affrontare i momenti difficili. C’è stato un momento in cui dicevano che non potevo fare il calciatore professionista perché ero troppo piccolino, troppo fragile: lui mi diceva di non ascoltare. Conta quello che pensi tu di te stesso, non quello che dicono gli altri. Aveva ragione. Mi assicurava: diventerai il migliore al mondo. Senza di lui, senza le sue parole, non sarei mai arrivato dove sono".

Oggi Modric guarda avanti senza dimenticare il passato. Tra i suoi sogni c’è quello di riacquistare la casa del nonno, ormai in rovina, come gesto simbolico per chiudere un cerchio e onorare le proprie radici. Perché, nonostante i trofei e la fama mondiale, Luka Modric resta prima di tutto un uomo che non ha mai smesso di ricordare da dove è partito.

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