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La partita perfetta di Gennaro Gattuso contro Cristiano Ronaldo

L’interpretazione tattica delle consegne che Gattuso aveva ricevuto da Ancelotti per neutralizzare Cristiano Ronaldo è uno dei punti chiave della vittoria del Milan che, battuto il Manchester United, volerà ad Atene per conquistare la Champions. A “Ringhio” riuscì tutto: “Per marcarlo gli andava fatto sentire un po’ del duro, ed erano le mie caratteristiche. Ma l’ho sempre rispettato. È un campione, ha una muscolatura incredibile”.
A cura di Maurizio De Santis
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Se vi è difficile capire cosa intenda Gennaro Gattuso per giocare "con veleno", essere "sempre sul pezzo" allora rivedete la partita del Milan contro il Manchester United del 2007. Fermate la vostra attenzione sul duello che ‘Ringhio' ha ingaggiato con Cristiano Ronaldo, che non era ancora il campione dei cinque Palloni d'Oro e dei record ma restava l'avversario più temuto dei Red Devils. Osservate l'espressione del viso, l'intensità che alimenta la sua prestazione, l'agonismo che resta su livelli altissimi di adrenalina fino a quando Ancelotti non decide di toglierlo dal campo.

Fissate l'attenzione sulla mimica del corpo, sull'espressione del viso al momento della sostituzione e se ancora non vi è chiaro quali siano "gli occhi della tigre" stoppate la sequenza videoclip mentre l'ex centrocampista rossonero saluta il pubblico di San Siro. Ecco, sono quelli: un misto di coraggio e concentrazione, la capacità di annusare il pericolo e scegliere l'attimo giusto per affondare il tackle, spalla a spalla, impavido. Gattuso urla tutta la propria soddisfazione perché ha vinto la sua battaglia assieme alla squadra. Al raccattapalle, che restò a bocca aperta mentre vedeva i numeri da funambolo di CR7, disse: "Sai qual è la differenza tra lui e me? Io andrà ad Atene, lui no". E così fu, fino al 2-1 (e alla vendetta consumata) contro il Liverpool in finale di Champions.

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Ora che tutto vi è più chiaro lasciate che la pellicola scorra e godetevi i momenti salienti del match. Non (solo) i gol di Kakà, Seedorf e Gilardino (che ribaltarono il 3-2 di Old Trafford) ma l'interpretazione tattica delle consegne che Gattuso aveva ricevuto dal tecnico per neutralizzare l'ala sinistra portoghese. Doveva disinnescare quel calciatore che aveva messo la Roma nel tritacarne, spedendola a casa con un mortificante 7-1. Come? Primo, sfiancarlo dal punto di vista psicologico: tenendogli il fiato sul collo, facendo sì che la sua presenza fosse un assillo costante, agendo in raddoppio costante, costringendolo a forzare le giocate e a sbagliarle, sgretolando le sue certezze e battendolo sul piano delle motivazioni. Secondo: portargli via il pallone, con le buone o con le cattive maniere. E quando lo fa scegliendo il tempo esatto per l'entrata, ingaggiando il contrasto fisico, allargando il braccio (ma senza commettere fallo) per poi appoggiare palla a Nesta, quell'intervento suscita il boato del ‘Meazza'. È l'apoteosi.

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A "Ringhio" schierato nel suo ruolo di mezz'ala riuscì tutto. Fu la sua partita perfetta. Le statistiche raccontano che ruberà a Cristiano Ronaldo almeno sei palloni in maniera pulita mentre l'avversario si perde nelle finte e nei colpi di tacco, nei cambi di passo che s'infrangono contro il "muro" piazzato da Ancelotti dalle sue parti. "Allora pensava più a fare numeri, ora è diventato una macchina da gol – disse Gattuso da allenatore del Milan a distanza di anni dalla serata magica di Champions -. Per marcarlo gli andava fatto sentire un po' del duro, ed erano le mie caratteristiche. Ma l’ho sempre rispettato. È un campione, ha una muscolatura incredibile".

Le parole di Ferguson furono la riprova di quanto accaduto: il Milan aveva sopraffatto la sua squadra anzitutto sotto il profilo mentale e della personalità. "La differenza l'ha fatta l'inesperienza", spiegò Sir Alex. E basta dare un'occhiata allo sguardo e alla posizione assunta da Ronaldo nel corso del match per comprendere in pieno quanto fosse a disagio. Era isolato, bloccato, finito in un vicolo cieco, costretto ad accentrarsi o addirittura ad arretrare il baricentro. Il motivo? Doveva "scappare" da Gattuso che lo aveva affrontato con cuore impavido. E lo aveva battuto, uscendo a braccia alzate e stringendo i pugni verso il cielo in quella notte in cui bastò un "Ringhio" per fare la storia.

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