Kevin De Bruyne: “La mia famiglia affidataria non mi ha più voluto a 16 anni. Dissero: per come sei”

Nella Napoli dei colori, dei suoni e dell'allegria sbarca un silent hero, uno di quei giocatori capaci di lasciare il segno nella storia del calcio senza aggiungere troppe parole. È il campo a parlare per Kevin De Bruyne e per una carriera trasformata in un capolavoro da un'intelligenza calcistica fuori dal comune, plasmata da un'adolescenza in cui ha dovuto lottare contro tutti per affermare sé stesso e togliersi tutte le etichette che cercavano di mettergli addosso. Il belga è sempre stato estremamente timido: non era come tutti gli altri, non aveva tanti amici e si esprimeva soltanto attraverso il calcio.
Un carattere introverso che forse mette molti in soggezione, anche adesso che è uno dei protagonisti più brillanti del calcio europeo. Niente eccessi, una vita tranquilla spesso lontana dai riflettori, un aplomb inscalfibile che lo ha accompagnato anche nelle sue prime ore in Italia. È stato travolto da una folla di tifosi emozionati dal suo arrivo, ma è riuscito a regalare solo qualche sorriso in mezzo alla confusione generale alla quale non è abituato. Ed è stato proprio il suo carattere ad averlo gettato nella situazione più complessa della sua vita, un grande rifiuto dal quale è nato il riscatto che lo ha portato a diventare un campione.
De Bruyne rifiutato dalla sua famiglia affidataria
A 14 anni ha preso una decisione coraggiosa, quella di lasciare casa sua e trasferirsi all'Academy del Genk, scuola di grandi campioni provenienti da tutto il Belgio. Due ore o poco più di strada, ma comunque un passo importante per un adolescente che si ritrova per la prima volta lontano dalla sua famiglia. In città tutti parlavano un dialetto diverso dal suo, non aveva amici, si sentiva solo e non aveva tempo per costruirsi una vita sociale perché i ritmi del calcio chiedevano attenzione e dedizione. De Bruyne ha spesso raccontato come i primi due anni siano stati i più complicati: generalmente i ragazzini che lasciano casa alloggiano in una pensione del club. Si tratta di una piccola stanza con un letto e una scrivania, lo stretto necessario per poter star bene per un tempo limitato.

Il momento peggiore però è stato il passaggio a una famiglia affidataria, ossia persone che mettono a disposizione il loro appartamento per accogliere i giovani giocatori. Il belga continuava a essere un tipo silenzioso: non dava problemi, era brillante in campo e anche a scuola, si chiudeva nella sua stanza fino a diventare quasi invisibile. Era perfettamente a suo agio nel silenzio, una condizione che tende a non essere sempre accettata. La società ci vuole aperti, sempre allegri e socievoli, mentre De Bruyne era esattamente l'opposto. Per questo al rientro dalle vacanze estive arrivò per lui la notizia più tremenda: la madre lo accolse piangendo perché la famiglia affidataria non lo voleva più. Troppo silenzioso, un ragazzo difficile con cui interagire e che quindi non vale la pena di ospitare. La spiegazione della madre gli ha tolto il fiato: "La famiglia affidataria non ti vuole più lì per via di chi sei. Hanno detto che sei troppo silenzioso. Non riescono a interagire con te. Hanno detto che sei difficile".
Il riscatto al Genk
A un ragazzo di 16 anni queste parole fanno crollare il mondo addosso. Non va bene così com'è, il suo modo di essere va cambiato perché da introverso non troverà mai una famiglia disposta a ospitarlo. Per De Bruyne è stata una doccia fredda perché anche il Genk pensava che potesse essere un problema: sua madre piangeva e la sua reazione fu quella di prendere il pallone per sfogare tutta la rabbia in giardino. Non sapeva che quel gran rifiuto si sarebbe trasformato in benzina per tutta la sua carriera, in quel riscatto che aspettava da sempre.
La svolta è arrivata durante una partita, in un venerdì sera come tanti. De Bruyne racconta che è entrato nel secondo tempo e qualcosa nella sua testa è cambiato. Ha segnato cinque gol in poco tempo e a ogni rete si ripeteva quelle parole che tanto lo avevano ferito. "Non ti vogliono più per via di chi sei. Sei troppo silenzioso. Un ragazzo difficile". Si era liberato da un macigno, facendo scattare in lui la scintilla che ha acceso la carriera da campione. Nel giro di due mesi si è ritrovato nella prima squadra del Genk e tutti lo vedevano come la futura stella del calcio europeo, una predizione decisamente corretta.

Come se non fosse stato già abbastanza, il belga ricorda che in un attimo le cose sono completamente cambiate. Il successo fa rivalutare le persone, per opportunismo oppure per avere una fetta di quella popolarità nella quale non avevano mai creduto. Fu così che alla sua porta si presentarono di nuovo i genitori affidatari che spacciarono tutta la storia per un grande malinteso. Lo rivolevano indietro adesso che era il gioiello della squadra, troppo tardi. De Bruyne si sentiva ferito: "No. Mi avete buttato nella spazzatura. Ora sto bene e mi volete di nuovo?". Una risposta lapidaria che gli ha permesso di alleggerire il peso che si portava addosso: il ragazzo troppo timido e silenzioso era diventato una star e per il resto della sua carriera si è mostrato orgoglioso nel suo modo di essere schivo e introverso, ma le magie che regala in campo valgono molto più di mille parole.