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Opinioni

In Italia il Governo riapre tutto tranne il calcio. E ancora non si è capito perché

I club di Serie A hanno proposto modifiche al protocollo del Comitato tecnico/scientifico che rischia di smentire se stesso se approverà le correzioni sostanziali su gestione dei ritiri, quarantena ed eventuali casi di positività dei calciatori. Cosa accadrà se, a ripresa avvenuta, un atleta verrà ritrovato infetto? È la domanda cui non è stata data una risposta che non sia “aspettiamo ancora un po’ e decidiamo”.
A cura di Maurizio De Santis
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Demagogico. Picaresco. Il dibattito politico e il botta e risposta sulla possibile ripresa del campionato di Serie A è una delle falle nella comunicazione e nella gestione dell’emergenza di questo Governo. Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, direbbe: “Se è capace di far meglio, si faccia avanti”. Per come si è evoluta la vicenda, la questione non è fare meglio o fare peggio (anche perché è difficile agire peggio di così) ma fare qualcosa che non sia rimpallarsi la responsabilità di prendere una decisione. Giocare oppure no. Ci sono le condizioni (adesso come tra qualche mese, a settembre) oppure no. Proseguire o dichiarare conclusa in anticipo la stagione. Lavorare per assicurare un futuro a un comparto aziendale del Paese che ha un’incidenza sul prodotto interno lordo, un fatturato in costante aumento (5 miliardi di euro, mica bruscolini…), un bacino di occupazione che dà lavoro a migliaia di persone, catalizza l’attenzione dei media (e tutto ciò che ne deriva in termini economici), è la “mammella” alla quale resta attaccato lo sport italiano che trae giovamento e finanziamenti dalle tasse e dai contributi versati dai club e poi di ritorno nelle casse del Coni per essere redistribuiti.

Il calcio resta nel limbo degli allenamenti individuali assieme al protocollo della discordia presentato dal Comitato tecnico/scientifico a mo’ di reprimenda del tipo "guadagnate tanti soldi, se vi fermate qualche mese non è un problema, non siete una priorità e, se volete ricominciare, arrangiatevi perché non vi facciamo sconti". Non c’è ancora un regolamento condiviso, non ci sono linee guida che indichino una direzione, arriveranno (forse) nei prossimi giorni almeno per quanto riguarda la sessioni tecniche. E per le partite? Ci pensiamo un po’ più in là: vediamo come va la curva dei contagi e poi decidiamo. Che volpi. E perché nel momento in cui riapre tutto o quasi (dai barbieri ai negozi di abbigliamento fino ai ristoranti, perfino le rotte aeree) il mondo del calcio deve restare chiuso? Francamente, non si capisce più niente.

Prendiamo, per esempio, il nodo della quarantena e dei ritiri: per la Commissione del Governo è l’impalcatura che regge tutto l’impianto di prescrizioni imposte non più tardi di una settimana fa a Federazione e Lega. Secco no al modello tedesco (isolamento individuale del singolo positivo, operazione di prevenzione e controllo a tappeto), misure stringenti, responsabilità penale che pende sulla testa dei medici sportivi delle squadre. Il sì del Comitato alle modifiche suggerite dai vertici del calcio è un controsenso clamoroso. Non una concessione ma una retromarcia sul principio di fondo che ha ispirato le precedenti disposizioni.

In buona sostanza i club di Serie A hanno sollevato obiezioni per la difficoltà a organizzare dal punto di vista logistico i “romitaggi/bunker” delle squadre sia perché non tutti possono beneficiare di strutture adeguate sia perché non lo vogliono gli stessi calciatori, per nulla persuasi dall’idea di restare in clausura – senza alcun contatto esterno, nemmeno con i familiari – per un periodo molto lungo e decisi a fare ritorno a casa al termine degli allenamenti quotidiani.

Non più ritiro obbligatorio, dunque, ma subordinato a una condizione: se in rosa c’è un giocatore positivo al coronavirus viene isolato dal resto del gruppo, la squadra va in “isolamento fiduciario” dove può continuare ad allenarsi e viene sottoposta a esami medici frequenti (dai tamponi ai test sierologici). Quanto al ruolo dei medici sportivi, agiranno come vigilanti dell’attuazione del protocollo ma non saranno più gravati dagli stessi eventuali oneri giudiziari, in sede civile e penale, qualora un giocatore decidesse di rivalersi a tutela della propria salute. E di chi sarà la responsabilità? Boh.

Che senso ha tutto questo? Difficile spiegarlo. Come è difficile comprendere se e quando sarà possibile riprendere il campionato. Siamo davvero così sicuri che, al netto della compattezza di facciata mostrata dalle società, ci sia tutta questa voglia di tornare in campo? E soprattutto cosa accadrà se, a torneo ripreso, un giocatore dovesse risultare infetto? È la domanda cui non è stata data una risposta che non sia "aspettiamo ancora un po’ e decidiamo".

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Da venticinque anni nel mondo dell’informazione. Ho iniziato alla vecchia maniera, partendo da zero, in redazioni che erano palestre di vita e di professione. Sono professionista dal 2002. L’esperienza mi ha portato dalla carta stampata fino all’editoria online, e in particolare a Fanpage.it che è sempre stato molto più di un giornale e per il quale lavoro da novembre 2012. È una porta verso una nuova dimensione del racconto giornalistico e della comunicazione: l’ho aperta e ci sono entrato riqualificandomi. Perché nella vita non si smette mai di imparare. Lo sport è la mia area di riferimento dal punto di vista professionale.
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