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Il sogno di Sara Gama: “Ogni bambina in Italia deve poter giocare a calcio, oggi non è ancora così”

Intervista esclusiva a Sara Gama, capitana della Juventus e della Nazionale femminile che si avvia verso i Mondiali in programma questa estate: la sua visione del calcio, di oggi e del futuro, ai microfoni di Fanpage.it.
A cura di Stefano Toniolo
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Calciatrice professionista e capitana della Nazionale. Sara Gama gioca in difesa nella Juventus Women, ma quando si racconta e parla del calcio femminile, gioca in attacco. Parla del futuro, dei risultati ottenuti e, soprattutto, di quelli ancora da ottenere. Lavora dentro e fuori dal campo, come vicepresidente di Assocalciatori. È lei stessa a sottolineare l’importanza di occuparsi del mondo fuori, dove poi, alla fine dei conti, avviene una buona fetta del cambiamento. Tra pochi mesi partirà con la Nazionale italiana per l’Australia e la Nuova Zelanda, dove si terranno i prossimi Mondiali di calcio. Dopo l’ultima edizione, in cui l’Italia era uscita a testa alta, c’è molta attesa per i risultati delle azzurre. E a capitanare la squadra sarà proprio lei, Sara Gama.

Sara, cosa significa essere capitana della Nazionale nel 2023?
"È un grande onore e una grande responsabilità portare in alto i colori del nostro paese. Dà un ruolo di maggior peso, ma alla fine ciò che conta è la grande gioia che si ha vestendo la maglia azzurra".

Proprio ai Mondiali, nel 2019, l’Italia era stata una rivelazione. Questa volta come andrà?
"È difficile dire come andrà, ma dico quello che dovrà essere: bisogna andare in Nazionale e avere fame, voglia di fare bene e l’orgoglio di vestire quella maglia, che vuol dire tanto. L’importante è andare con queste caratteristiche: fame, voglia e grande entusiasmo. Allora lì si può dire la propria".

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Se invece guardiamo al percorso del calcio femminile in questi anni, che situazione trova oggi una bambina che vuole iniziare a giocare a calcio?
"Una situazione migliore di quando abbiamo iniziato noi. È un po’ il progresso. Le vere pioniere, che sono arrivate prima, hanno reso le cose migliori per noi. Poi la mia generazione ha dato una svolta importante. Sicuramente oggi, con il contesto del professionismo per cui noi ci siamo spesi a suon di risultati in campo e chiedendo ciò che era giusto per la nostra tutela, le ragazze trovano una situazione ideale. Ci sono club professionistici che stanno investendo sul femminile e c’è un contesto culturale nel quale alcuni pregiudizi sono caduti ed è più semplice pensare di giocare a calcio".

Dove si può lavorare per dare un impulso immediato al movimento?
"Devono esserci più squadre sul territorio. Parliamo di club professionistici, ma tutto il mondo dei dilettanti e dei settori giovanili sono il bacino da cui dobbiamo attingere. Quindi c’è bisogno di facilitare l’ingresso delle ragazze più giovani, per avere squadre e infrastrutture vicino a casa e non dover andare a una o più ore di distanza per fare un allenamento".

Parlando di progresso, c’è forse un punto importante: ancora oggi, quando pensiamo al calcio mainstream, pensiamo al calcio maschile. Cosa deve fare il calcio femminile per diventare mainstream?
“Il calcio maschile è lo sport numero uno in termini di seguito ed è normale che sia così. Quello che bisogna fare è continuare a lavorare, affinché diventi semplice e normale per una bambina giocare a calcio. Bisogna facilitare l’ingresso delle bambine a tutti i livelli: oggi una famiglia che porta le ragazze al campo trova situazioni in cui non si riesce a formare una squadra intera oppure società che non vogliono farlo perché è complicato incastrare gli orari di spogliatoi e campi. È un tema che non riguarda solo il calcio femminile, ma le strutture in generale che abbiamo a disposizione per i nostri ragazzi e le nostre ragazze”.

In questo senso lei ha fatto molte esperienze all’estero. Ci sono dei modelli che potremmo importare in Italia?
"Adesso noi possiamo guardare agli ultimi anni con un grande sorriso, perché abbiamo fatto passi da gigante. È ovvio che siamo ancora in ritardo rispetto a determinati paesi che hanno un numero di tesserate e un bacino più ampio del nostro. In Europa, ad esempio, i top hanno oltre 150.000 tesserate, mentre noi oggi ci attestiamo credo attorno alle 36.000. Forse raggiungeremo le 40.000 adesso con questo trend, ma c'è molto da recuperare. Ovviamente il bacino è importante per i talenti che uno va a sviluppare e poi in generale in termini di investimento sui campionati. Ma in alcune cose noi siamo stati molto bravi. In poco tempo abbiamo completato un passaggio al professionismo e siamo d'esempio anche rispetto a qualche altro paese che oggi ha un bacino d'utenza maggiore".

Da questo punto di vista forse la Juventus è stata un po’ pioniera. Ha avuto la percezione che il club stesse facendo qualcosa di importante?
“La Juventus ha dato una grandissima svolta. Quello che ha fatto concretamente è stato credere in noi, attraverso degli investimenti importanti per i parametri del nostro mondo e mettendo a disposizione strutture dove allenarci in maniera veramente professionale. La forza mediatica del club ha fatto sì che avessimo spazio, visibilità e palcoscenici importanti. Quando sono state aperte le porte dell'Allianz Stadium nel 2019 (per Juventus-Fiorentina di Serie A Femminile, ndr) è stata una cosa incredibile per chi seguiva il nostro sport. Questo ha fatto poi da traino anche a tutti gli altri club, che poi comunque hanno raccolto la sfida. Negli anni successivi sono entrati la Roma, il Milan, poi l'Inter e tanti altri. Quindi questo ha creato un circolo virtuoso e ha portato il nostro campionato a crescere e la Nazionale ad avere atlete più preparate, dando finalmente una prospettiva alle ragazze".

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Sono questioni molto politiche in fin dei conti. Oggi abbiamo due donne al vertice: che cosa racconta questo del nostro paese?
"Racconta che comunque c’è un cambiamento culturale in atto, senza addentrarsi in altre questioni. C’è un cambiamento culturale e un po’ come per noi, prima non vedevi una calciatrice in televisione a fare uno spot. Sembra una banalità, ma è così. Quindi incominciare a vedere che i generi si mescolano in posizioni che contano non è cosa da poco. Poi ovviamente ciò che è più importante è sempre che ci sia gente che abbia competenze importanti e che ne sappia più di noi. Però credo che, se possiamo scegliere tra due generi, invece che scegliere tra mezzo mondo, scegliamo nel mondo intero. E quindi in teoria il bacino è più grande e, come per la selezione di calciatrici, vuol dire alzare la qualità".

Se vogliamo possiamo dire che lei è diventata simbolo di un movimento.
"In realtà ho sempre cercato di fare diverse cose durante la mia carriera: innanzitutto studiare. Già da quando avevo 21 anni, con l’Assocalciatori, che cerca sempre di coinvolgere calciatrici per prepararle al loro futuro e a essere in grado di affrontare la carriera, avevo cominciato a fare qualcosa. Così mi sono sempre più interessata alla politica sportiva, fino a quando mi è stato proposto di fare la consigliera federale nel 2017, ruolo che ho lasciato poi qualche tempo fa perché ho assunto quello di Vicepresidente sempre dell'Assocalciatori. È diventata una passione. Mi sono resa conto che è importante quello che si fa in campo, però ci sono luoghi dove si decide e si plasma il futuro. Quanto investire, dove investire, che tipo di regolamenti fare. Discorsi che sono fondamentali e che condizionano tantissimo".

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Che strada seguirà dopo il ritiro?
"Quest'anno, sempre per tenere tutte le vie aperte, ho fatto anche il corso da direttore sportivo, quindi parliamo di un ruolo più operativo e manageriale all'interno di un club, perché mi interessava avere una prospettiva in più. È interessante vedere che cosa deve fare un direttore all'interno di un club, tutto ciò che deve gestire. Ti dà un altro punto di vista ancora. Spesso mi occupo di quelle che sono le necessità di calciatrici e calciatori, ma è interessante avere un’idea di come funziona tutto il sistema. In futuro chissà. Ci sono queste cose, dopodiché potreste trovarmi a fare tutt’altro al di fuori del mondo del calcio. Intanto impara l’arte, no?".

Invece cosa vorrebbe lasciare in eredità al mondo del calcio?
"Credo che la mia generazione stia lasciando il mondo meglio di come l'ha trovato: le calciatrici oggi sono professioniste. Questo significa avere tutele importanti: vuol dire avere la pensione, l’Inail, l’assicurazione e le tutele per la maternità. Essere professionisti vuol dire che si sta credendo e si sta investendo su questa disciplina. Questo crea prospettive di lavoro in generale per le calciatrici e anche per tutto il mondo attorno. Se devo guardare nel mio piccolo, mi auguro di lasciare in eredità la voglia, l'entusiasmo e la passione con cui pratico il mio sport".

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