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Il calcio italiano è fermo a Italia ’90: cosa resta degli stadi dopo 1200 miliardi di sprechi

Trent’anni fa il Mondiale di calcio del 1990 giocato in Italia. Di quelle notti (poco) magiche è rimasto solo l’incubo degli stadi costruiti a costi elevatissimi e con notevole spreco di soldi pubblici. Da Nord a Sud è nutrito l’elenco delle cattedrali nel deserto e degli impianti con difetti strutturali.
A cura di Maurizio De Santis
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Vivere di anniversari e di ricordi. A 30 anni dalle notti magiche di Italia 90 c'è davvero poco che valga la pena ricordare. A parte il "codino" e la classe infinita di Roby Baggio o gli occhi stralunati di Totò Schillaci, il resto possiamo lasciarlo anche lì dov'è: seppellito nel baule degli sprechi, della mala politica, delle gare d'appalto per l'affidamento dei lavori mai bandite perché bisognava fare in fretta, dei progetti degli stadi ricostruiti o ristrutturati a costi elevatissimi. Oltre 1200 miliardi di vecchie lire (su più di 7 mila di spese complessive), sforamento di budget dell'85% e mutui accesi per il futuro coi soldi pubblici. Fu come mettersi le pietre nel costume e poi cominciare a nuotare.

Da Nord a Sud i casi più clamorosi per un'Italia che, quanto a sprechi, non è mai stata così unita. Basta dare un'occhiata a come sono combinati oggi gli impianti di allora: la maggior parte rattoppati, qualcuno abbattuto e costruito ex novo, altri ancora fatiscenti o quasi. A Torino il Delle Alpi bruciò il 214% in più dei fondi stimati: 200 miliardi di lire per essere demolito nel 2009 sia per errori nella progettazione (problemi alla visibilità dagli spalti) sia per i i costi di gestione altissimi. "Sembra di giocare sempre fuori casa", diceva l'Avvocato Agnelli alludendo all'atmosfera da cattedrale nel deserto. Al suo posto oggi sorge l'Allianz Stadium di proprietà della Juventus, uno delle poche strutture moderne assieme alla Dacia Arena dell'Udinese (anche quest'ultima allestita sulle ceneri del vecchio Friuli, adattato alle esigenze di quella estate italiana).

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A Milano l'edificazione del terzo anello sulla struttura storica del Meazza trasformò San Siro in un campo arido, dove l'erba difficilmente attecchisce. Problema analogo anche al San Paolo di Napoli: l'armatura di metallo per la copertura e il settore "aggiunto" al catino di Fuorigrotta hanno creato problemi strutturali ai palazzi circostanti. Il San Nicola di Bari venne affidato all'architetto Renzo Piano che immaginò un'astronave nel capoluogo pugliese. La "navicella" sbarcò nella zona periferica della città e, spente le luci dei mondiali, è rimasta abbandonata a se stessa fino al logoramento di parti dell'impianto (in particolare della rete di copertura delle gradinate).

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Il Ferraris di Genova venne concepito in stile inglese e alimentò consensi peccato che il sistema di drenaggio e l'assestamento del manto erboso restino ancora oggi il tallone d'Achille: se piove un po' di più non si può giocare, il rettangolo verde si trasforma in un piscina. A Roma per il taglio del nastro dell'Olimpico è servito un occhio della testa (225 miliardi di vecchie lire) per ammodernare lo stadio. E poi c'è Cagliari, l'emblema del fallimento dell'intero piano pensato dagli organizzatori di allora: il Sant'Elia dismesso nel 2017 dopo essere stato dichiarato "decaduto" e da demolire. Alla faccia delle notti magiche.

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