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Flachi a Fanpage, il ritorno dopo la squalifica: “Sono stato il più stronzo, ma oggi sono felice”

Francesco Flachi torna a giocare dopo 12 anni di squalifica per uso di cocaina. L’ex attaccante della Sampdoria riparte dall’Eccellenza toscana: “Ho odiato il calcio, ma è stata colpa mia”.
A cura di Beppe Facchini
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Di nuovo in campo dopo 12 lunghissimi anni. Francesco Flachi, attaccante fiorentino classe 1975 con oltre 130 presenze in Serie A e la bellezza di 110 reti messe a segno con la maglia Sampdoria (tanto da essere attualmente il terzo bomber di sempre dei blucerchiati, dopo Mancini e Vialli), torna sui campi di calcio. Squalificato nel 2009 perchè positivo alla cocaina dopo il test anti-doping al termine della gara di Serie B fra Modena e Brescia (si era trasferito in Lombardia dopo una prima squalifica di due anni per lo stesso motivo, in seguito a Sampdoria-Inter di fine gennaio 2007), Flachi è ritornato ad indossare divisa e scarpette il 13 febbraio del 2022 in Eccellenza toscana. La scorsa estate, infatti, è stato tesserato dal Signa 1914, società a pochi passi da casa sua, sempre vicino Firenze, con la quale già da qualche anno aveva cominciato a collaborare, in attesa che la squalifica terminasse. Ma come sono stati questi 12 anni lontani dal campo di gioco? “Sono davvero stati lunghi, anche se adesso sembra siano passati velocemente”, racconta l'ex numero dieci della Samp a Fanpage.it. Sono stati lunghi e per niente facili a livello mentale. Perché ti cambia la vita e non è facile: ho dovuto reinventarmi, visto che a causa della squalifica non potevo essere tesserato da nessuno, al massimo potevo avere qualche collaborazione. Però all'inizio, in realtà, ce l'avevo un po' col calcio, non per colpa degli altri ma per colpa mia. Tutto quello che è successo è stato solo per colpa mia e nei primi tre o quattro anni di squalifica ne avevo un po' il rigetto. Non lo guardavo e lo seguivo poco. Stavo male mentalmente e non mi faceva stare bene”.

Poi cosa è successo?
“Dopo mi sono reinventato, ho aperto dei locali e pian piano mi sono riavvicinato a questo mondo. Prima mi è stata data la possibilità di rientrare, collaborando e insegnando in una scuola calcio a Bagno di Ripoli. Poi l'allenatore della prima squadra ha abbandonato e così c'è stata la possibilità di allenare in Terza Categoria, ma senza andare in panchina alla domenica. Allenare è una cosa che mi è sempre piaciuta, però non potevo prendere il patentino, come invece farò alla fine di questa stagione. Con quella squadra mi sono comunque tolto anche delle grosse soddisfazioni, nonostante i primi due anni non siano andati benissimo: abbiamo vinto un campionato e una coppa disciplina. E col tempo la cosa si è fatta sempre più interessante, anche a livello personale, ma c'era sempre il problema del patentino: senza non è facile trovare squadra. Così sono venuto a Signa, dove mi hanno proposto di collaborare col settore giovanile e ormai sono qui già tre anni”.

La scelta di tornare in campo com'è maturata?
“È derivata, si può dire, da una coincidenza. C'era un torneo di calcio a sette qui a Signa, io facevo parte della squadra e quindi il presidente mi veniva a vedere giocare. Mi sfotteva e mi motivava dicendomi che non ero più buono, anche se stavo giocando bene, e dopo che me lo ha detto una, due, tre, quattro volte gli ho detto allora mettimi alla prova. Ma in quel momento lì era una cosa tanto per dire, come campata in aria. Poi però più passava il tempo, ci si sentiva, si parlava e piano piano la cosa si è fatta sempre più interessante”.

Com'è stato il ritorno in campo?
“I dieci giorni prima della partita (Signa-Prato 2000, finita 2-2, ndr) sono stati lunghissimi, ma soprattutto belli ed emozionanti. Ho iniziato a risentire la vecchia tensione, le vecchie motivazioni, i vecchi stimoli, le vecchie farfalle nello stomaco. Sono state davvero delle sensazioni bellissime e hanno scombinato anche me. Ero un po' frastornato: non pensavo ci fosse così tanta gente. E un po' tutti abbiamo accusato il colpo: i ragazzi non erano abituati a così tante telecamere, ma spero di avergli già regalato uno scenario bello anche per loro”.

Domenica per il tuo ritorno in campo c'era anche l'ex tecnico della Sampdoria, Walter Novellino.
“Si. Mi spiace che abbia visto poco (Flachi ha giocato circa mezzora, ndr) m spero che torni anche in futuro. Mi aveva detto che veniva ma non credevo lo facesse davvero: rivederlo è stato veramente immenso. Gliel'ho anche detto: è stata la persona che più di tutti mi è sempre stato vicino”.

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Com'è stato l'impatto con un campionato come quello di Eccellenza?
“Piano piano mi sto un po' immedesimando: non è facile, ogni categoria ha il suo modo di calarsi nella parte. Io so di avere una certa età e che più di tanto non posso fare, ma spero, se avrò altri 10 o 5 minuti a disposizione, di dare il massimo per i miei compagni. E non solo in campo ma anche con la mia persona, dandogli consigli negli spogliatoi: per me sarebbe già il massimo anche quello”.

In questi anni sei rimasto in contatto con gli ex compagni? Qualcuno ti ha invece voltato le spalle?
“No. Ci sono stati momenti in cui anche io per primo mi sono isolato, perché un po' mi vergognavo di quello che avevo fatto. Però poi col tempo ho cercato di rimettere le cose a posto e ho trovato anche altre cose da fare. Ad esempio, da dieci anni faccio l'opinionista in una radio e poi, mentre allenavo anche alla scuola calcio, tre anni fa è subentrata anche una tv, Italia7, che mi ha dato la possibilità di imparare anche altre cose. A livello calcistico comunque ho ancora tanti amici, ho un buonissimo rapporto con tutti i miei ex compagni, anche se è normale che c'è chi sento di più e chi meno. Io e Fabio Bazzani, ad esempio, ci sentiamo una volta ogni mese ma è come se ci si sentisse tutti i giorni. Poi ci sono Piero Accardi, Gianluca Berti, Sergio Volpi, Angelo Palombo, Fausto Rossini: mi scuso se ne dimentico qualcuno, ma sono in buonissimi rapporti con tanti. Nessuno, invece, mi ha mai voltato le spalle”.

C'è qualche rimpianto per com'è andata la tua carriera?
“Rimpianti? Sarebbe troppo facile ora, anche perché tornare indietro non si può. Piuttosto c'è un po' di curiosità per sapere come poteva finire se non succedeva cosa poi è successo. Però devo dire che fa un po' parte del mio carattere: sono una persona molto istintiva, non è che ci penso molto. Quello che mi va di fare, come l'ho fatto in campo, lo faccio anche fuori. E delle volte questo carattere ti può portare anche a fare degli errori”.

Quando è arrivata la seconda squalifica, più lunga della prima di 24 mesi per via della recidività, come l'hai vissuta?
“Male, però me la sono cercata io. Non me l'ha inflitta nessuno, la colpa era solo mia. Quindi lì per lì ti assumi tutte le tue responsabilità sapendo di aver fatto una cazzata. Ora posso dire di aver capito di essermi mangiato tutto quello che di buono avevo fatto. Pensavo che fosse una cosa semplice da poter gestire, invece non è stato così. Ho pagato quello che dovevo pagare e ho mi sono reso conto che dopo, quando esci dal campo, anche a livello morale ti distrugge. Starci dentro ti porta a vivere delle emozioni e delle passioni che non sono così forti nella vita di tutti i giorni”.

Ti sei mai chiesto perché è successo tutto questo?
“Perché sono un coglione. In quel momento lì tu lo fai anche perché forse ti piace farlo. Però poi dopo penso che sia un nascondiglio per un problema. In quel momento lì ti senti più forte e invece il giorno dopo sei più coglione di prima. Bisogna rendersi conto che la vita è un'altra cosa e non è che ti senti meglio e sei il più forte di tutti: sei il più stronzo di tutti, come lo sono stato io”.

Temi che ti rimanga un po' un'etichetta addosso per il tuo passato?
“L'etichetta rimarrà. I primi tempi stavo male, non era bello quello che leggevo. Io l'ho sempre ammesso, quello che è successo è successo, però tutt'ora qualcuno fa delle battute ed io sono anche il primo a farle. Ma quello che mi dà noia è che spesso, sui social, si scrivono cose senza conoscere le persone. Bisogna invece pensare che questa persona ha due figli e magari dei genitori anziani che possono risentirsi da certe cose che si leggono. Se me lo dici davanti, non mi interessa niente. Ma questo mi preoccupava e mi dava noia, però col passare del tempo ho visto che la gente mi ha conosciuto e ce ne sono sempre meno di queste persone che scrivono male. Ce ne saranno sempre ma a me non fanno più effetto, però cambiate battute. Sono passati 12 anni. Non sono stato un bell'esempio, ma vado sempre a testa alta perché non ho ammazzato nessuno, non ho rubato e non mai mancato di rispetto a nessuno. E soprattutto se ho fatto del male, l'ho fatto solo a me stesso. Posso aver fatto male moralmente ai miei figli che erano piccoli e ai miei genitori, però col tempo si può sempre recuperare”.

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Ti piacerebbe un giorno lavorare con la tua squadra del cuore, cioè la Fiorentina?
“Ho avuto anche qualche contatto in realtà. Lo spero vivamente, è normale. Sarebbe un sogno poter arrivare anche ad allenare i ragazzi del settore giovanile. Però non ho fretta di arrivare, ma ho fretta di imparare per arrivare”.

In questo momento come ti definiresti?
“Sono super felice. Perché ho ritrovato belle sensazioni a livello personale, sto bene. Sono ritornato veramente un ragazzino ed è davvero un piacere affrontare tutto giorno per giorno”.

Comunque questa sarà la tua ultima stagione, giusto?
“Si, questo è poco ma sicuro. Bello, bello tutto, è veramente un piacere, un onore, sono felicissimo, però questa è l'ultima. Anche perchè delle volte torno a casa con le bacchette anziché le gambe. Spero da qui alla fine di lasciare comunque un segno positivo, se no mi diranno che tu sei venuto a fare? Per ora siamo lì e fino alla fine possiamo dire la nostra, abbiamo una buona squadra e devo fare i complimenti ai miei compagni: domenica scorsa altri non avrebbero pareggiato quella stessa partita, dopo un mese con tante telecamere e tante distrazioni. I ragazzi però sono stati bravissimi”.

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