Ferreira Pinto: “Portavo sacchi di pomodori, facevo il muratore. Poi il mio padrone mi cambiò la vita”

Adriano Ferreira Pinto a 45 anni ha ancora una grande voglia di giocare a calcio. Con 127 presenze in Serie A, dove ha segnato 12 gol, 122 in Serie B, 98 in Lega Pro e 313 in Serie D, il calciatore brasiliano non ha nessuna intenzione di appendere gli scarpini al chiodo e riparte con una nuova avventura nella Promozione lombarda con l'ASDC Almè Calcio.
Davide Locatelli, team manager dell'Almè Calcio, ha parlato così del calciatore brasiliano: "È incredibile come un atleta possa continuare a spingersi oltre i limiti con questa dedizione, passione e spirito di sacrificio. L'arrivo di Ferreira Pinto è un tassello fondamentale per la nostra società , non solo dal punto di vista sportivo, ma anche e soprattutto sotto il profilo umano. Ferreira Pinto porterà nello spogliatoio carisma, mentalità vincente e una storia che sarà fonte d'ispirazione per tutto l'ambiente Almè".
In campo Ferreira Pinto lo vedi sgroppare sulla fascia senza soste, km e km sulla destra come fosse un maratoneta, ma il suo percorso per arrivare al grande calcio non fu affatto semplice: lo stesso calciatore brasiliano a Fanpage.it ha raccontato la sua carriera, le difficoltà degli esordi e l'approdo in Italia fino alla scelta di continuare a giocare a 45 anni.

A 45 anni Adriano Ferreira Pinto riparte con un altro progetto calcistico: dove trova gli stimoli per continuare a giocare alla sua età?
"Sono stato undici anni a Ponte San Pietro, una società che mi ha dato tantissimo e che ringrazio per quanto fatto insieme, ma loro hanno fatto una fusione e hanno deciso di prendere un’altra strada. Io dopo una stagione con undici gol, tanti assist e senza infortuni volevo continuare. Cercavo una squadra nella bergamasca, non lontano da casa, e mi hanno fatto questa proposta così ho deciso di sposare questo progetto qua".
Cosa l’ha colpita del progetto dell’Almè?
"Ho parlato con Davide, il team manager, e il presidente e mi hanno fatto una bella proposta quindi ho deciso di iniziare questo nuovo progetto. Sono dentro al 100% e sono convinto di poter dare il mio contributo e di dare una mano nella crescita dei ragazzi. Ferreira Pinto va lì mettendo a disposizione le sue qualità, per fare spogliatoio e dare un contributo a 360°. Io ho una grande passione per il calcio, in questo periodo faccio un camp con i bambini ma mi fa continuare la passione che ho per questo gioco".

Lei è arrivato in Italia a Lanciano, ma è con l’Atalanta che ha avuto il legame più duraturo: cosa rappresenta la Dea per Ferreira Pinto?
"Io stavo facendo le visite mediche col Bologna e mi chiamò l’Atalanta in Serie A. Allora decisi di accettare la proposta per andare a giocare nel massimo campionato, pur avendo grande rispetto per il Bologna che mi voleva. Non ho guardato soldi o contratto ma volevo provarci. A 26 anni ero in Serie A e sono riuscito a coronare il mio sogno. Sono rimasto a Bergamo sette anni finché non mi sono infortunato gravemente e poi le strade si sono separate. Sono molto legato alla piazza nerazzurra perché è il club che mi ha dato di più e con i tifosi ho un grande legame. Io ho scelto di vivere qui e di restare qui con la mia famiglia. Anche al Ponte San Pietro sono molto legato, visto che ho passato lì dieci anni: non che le altre non mi abbiano lasciato nulla ma questi sono stati i legami più lunghi della mia carriera, è inevitabile".
Ha avuto Colantuono e Delneri come allenatori: chi è stato più importante per la sua carriera?
"Colantuono l’ho avuto anche al Perugia mentre Delneri l’ho avuto solo a Bergamo. Lui mi ha aiutato a crescere tanto con il suo gioco con gli esterni e per me è stato un grande insegnante. Quando mi sono fatto male lui era alla Juventus e mi ha chiamato per portarmi lì ma il recupero era stato lungo e le cose non si sono incastrate nel modo giusto. È stato molto corretto con me".

Arrivò in Italia nel 2001 dopo una trattativa saltata con lo Standard Liegi: ci racconta cosa è successo?
"Io sono andato allo Standard perché la mia squadra in Brasile mi aveva venduto ma ho avuto problemi con la lingua e dopo che mi hanno tolto l’interprete sono andato in crisi, così ho deciso di tornare a casa ma lì erano tutti arrabbiati con me e non ci sono andato. Ho fatto un provino nello stato di Parana e un dvd di quel provino Adriano Mezavilla che giocava al Lanciano lo ha visto il direttore sportivo Carlo Colacioppo. Lui mi ha dato una mano incredibile nella mia carriera, non lo conoscevo e mi ha aiutato tantissimo. In Belgio io non ho guardato i soldi e ho lasciato tutto lì, non ero felice e decisi di fare un passo indietro. Quel momento mi ha fatto capire che se volevo giocare a calcio mi dovevo abituare a tutto perché è un mondo diverso dagli altri. Io non avevo fatto giovanili o altro e giocavo per divertimento dopo aver fatto la mia giornata di lavoro da muratore. Una volta arrivato in Italia ero disposto a tutto per rimanere. Prima probabilmente non lo ero e per questo in Belgio caddi in depressione e non andai avanti. Per giocare a calcio bisogna essere felici ma bisogna fare sacrifici per affrontare le sfide".
Lanciano fu il trampolino di lancio della sua carriera: il suo percorso nel calcio italiano è stato molto graduale…
"Nel 2001 arrivai a Lanciano e sono stato lì per due anni. Ringrazierò sempre questa società che mi ha dato questa possibilità e il secondo anno, dopo aver fatto 11 gol, in seguito ad un amichevole contro il Perugia rimangono colpiti e mi prendono. Quell’anno il club fallì e rimase con il cartellino in mano nonostante per me fu una stagione buona perché riuscii a giocare molto. Mi chiamò Castori, che avevo avuto al Lanciano, al Cesena e lì ho fatto il mio campionato migliore di B. Poi arrivò l’Atalanta".

La sua infanzia è stata abbastanza complicata, perché a sei anni ha dovuto lasciare la scuola per poter aiutare la sua famiglia. Pensava che il calcio sarebbe diventato il suo lavoro?
"Io a sei anni ho lasciato la scuola per aiutare papà, che è morto poco dopo per una malattia. Ho dovuto affrontare la vita già da piccolo e mi ha preparato a tutte le sfide. Io a livello giovanile ho giocato poco perché a 9 anni io portavo sacchi 50 kg sulle spalle di pomodori, fragole e altri prodotti… poi ho deciso di andare a lavorare in città e ho iniziato a fare il muratore in una ditta. Poi mi chiamarono per fare un provino e io non volevo andare ma il mio padrone l’ha saputo e mi ha permesso di andare, dandomi lo stesso la paga. Da lì è iniziata la mia carriera. Se non mi avesse dato il permesso tutto quello che è venuto non ci sarebbe stato".
Oggi Adriano Ferreira Pinto ha 45 anni ma ha ancora voglia di giocare e di mettersi in gioco: cosa si sente di dire ai ragazzi, anche ai piccoli del suo camp, che vogliono fare ‘i calciatori’?
"Il mondo è cambiato tanto rispetto a qualche anno fa perché è tutto molto più veloce. Questo modo di vivere ha tolto un po’ di curiosità in tanti ragazzi che magari prima avrebbero fatto altro ma io gli dico sempre si mettersi in gioco sempre, di conoscere gli altri che ho vicino e di dare sempre il massimo. Il contatto umano è fondamentale per crescere e conoscere altre cose. Una volta che hai fatto quello, non puoi rimproverarti nulla. Io dico sempre che ci vuole impegno e determinazione in quello che si fa, oltre dare/ricevere rispetto".