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Fagioli racconta la sua ludopatia: “Ho cominciato a 16 anni, passavo dodici ore al cellulare”

Nell’incontro tenuto a Torino per sensibilizzare i giovani sul gioco d’azzardo Fagioli ha parlato della ludopatia: “All’inizio era un gioco, ma poi è diventata una malattia”
A cura di Ada Cotugno
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Nicolò Fagioli continua il suo percorso di riabilitazione: accanto alla squalifica di sette mesi che sconterà fino a maggio il giocatore della Juventus sta prendendo parte a diversi incontri con gli psicologi per parlare della ludopatia e nell'ultimo incontro tenuto al Teatro Agnelli di Torino ha raccontato la sua dolorosa storia personale.

Il giovane giocatore ha preso parte all'evento "Perdere tutto non è un bel gioco", il terzo appuntamento della sua riabilitazione. Nell'ultima occasione in Val di Susa aveva parlato a tanti ragazzini di come aveva ceduto alla dipendenza e anche questa volta non si è risparmiato per impartire una lezione ed evitare che altri intraprendano la sua stessa strada.

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"Ho cominciato le prime volte quando avevo sedici anni, all’inizio era come un gioco, poi pian piano è diventato una malattia, ho iniziato subito con le scommesse sportive", ha detto Fagioli nel corso di questo incontro, mirato a sensibilizzare i giovani sul gioco d'azzardo.

Il suo percorso di riabilitazione, seguito ovviamente da uno psicologo, sta continuando per il meglio e il giocatore sta pian piano uscendo dal peggior periodo della sua vita: "Sto molto meglio adesso rispetto a un anno fa, è stato il periodo più difficile della mia vita. Cosa mi fa star bene adesso? Stare con la famiglia, gli amici e praticare sport".

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La dipendenza ha stravolto la vita di Fagioli che alla fine ha commesso un errore fatale per la sua carriera. Ma le scommesse non hanno soltanto influito sul suo percorso alla Juventus: "Il rapporto con la famiglia e gli amici era cambiato, volevo stare da solo, volevo vedere poco la famiglia e i miei amici perché sembrava tempo perso. Ero sempre nervoso, l’unico mio sfogo era la partita perché mi allenavo male e non davo il 100% in campo. Quanto tempo passavo al cellulare? Dalle dieci alle dodici ore. All’inizio mi piaceva, poi mi sono reso conto che era diventato una malattia, forse ci ho messo troppo tempo a chiedere aiuto".

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