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Fabio Cannavaro a Fanpage: “Voglio allenare in Europa, Vlahovic il più forte dei prossimi 10 anni”

Lunga intervista esclusiva a Fabio Cannavaro: la sua visione da allenatore, l’esperienza in Cina, gli aneddoti di una carriera e i progetti per il futuro.
A cura di Fabrizio Rinelli
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Dalle prime esperienze in Cina come allenatore al sogno di tornare in Europa, magari su una panchina italiana. Fabio Cannavaro ha raccontato a Fanpage.it la sua nuova vita in panchina. Campione del mondo con l'Italia nel 2006 e ultimo Pallone d'Oro azzurro nella storia, dopo aver appeso le scarpette al chiodo l'ex difensore ha iniziato ad allenare dal 2014. Al Nassr, Tianjin Quanjian e soprattutto Guangzhou Evergrande con il quale, in Cina, ha vinto il suo primo campionato e si è spinto fino alla semifinale della Champions asiatica.

In una lunga chiacchierata, Cannavaro ci ha spiegato il suo modo di vedere il calcio attraverso i moduli di riferimento, la filosofia di gioco e le esperienze accumulate in carriera, anche da calciatore. Per due volte è stato vicino ad allenare la Fiorentina ("ma ero bloccato in Cina") e ora aspetta la chiamata giusta, magari proprio dalla Serie A, per ricominciare il suo cammino da allenatore: "Aspetto l’opportunità giusta che mi permetta di mettere in pratica le mie idee e sfruttare il mio bagaglio di conoscenze".

Fabio Cannavaro allenatore: come si auto-definisce?
"Un allenatore normale, perché il mio obiettivo, come quello degli altri allenatori, è vincere. Ma cerco anche di lasciare qualcosa ai miei giocatori. I trofei fanno la differenza, ma il bagaglio tecnico che trasmetti ai giocatori ti gratifica di più. Ad esempio, l’anticipo che feci su Podolski nel 2006 e che tutti ricordano, fu un suggerimento di mister Maldini nei primi anni di under 21. Mi disse ‘Ricordati sempre: pallone a terra, uomo morto'. Il mio obiettivo come allenatore è proprio quello di lasciare qualcosa di importante ai miei giocatori".

Essere stato Cannavaro è un punto a favore o a sfavore?
"All'inizio ho avuto la fortuna di sfruttare il mio nome e il fatto di aver vinto Mondiali e Pallone d'Oro. Il giocatore all’inizio mi guardava in modo incantato, ma se non gli dai delle certezze si annoia presto. Fare l’allenatore è difficile, ma anche molto stimolante".

Sei stato tra i più grandi difensori della storia ma oggi guardi al calcio con un approccio offensivo. Come avviene questo passaggio?
"Ho giocato tanti anni in Italia e in tutti i modi: dalla difesa a uomo a quella a tre a Parma, fino alla difesa a quattro con Ancelotti. Tutti mi hanno insegnato la fase difensiva nel miglior modo possibile, perché da italiani siamo il top. Poi vado al Real Madrid e mi si apre un mondo. Scopro un concetto di calcio totalmente diverso. Niente attesa, controllo del gioco e della partita attraverso il possesso palla. La tappa a Madrid mi ha cambiato la visione".

Hai un sistema di gioco preferito? Al Guangzhou giocavi prevalentemente con il 4-3-3.
"Per la precisione 1-4-3-3, altrimenti a Coverciano ci richiamano (ride, ndr). È il sistema che ho adoperato di più. A me piace dividere il campo per catena di destra e sinistra e in base a quello faccio occupare tutti gli spazi, con le varie dinamiche che si possono sviluppare da una fascia all'altra. I punti di riferimento sono sempre due: il giocatore davanti alla difesa e il centravanti. Credo molto nel possesso palla e nell'occupazione degli spazi".

In Cina il giocatore che hai esaltato di più è stato un centrocampista.
"Dopo sei mesi di Guangzhou è arrivato un calciatore straordinario come Paulinho, molto portato all'attacco ma bravo a fare anche la fase difensiva. Da buon napoletano gli ho cucito il vestito su misura. Per me lui è una mezzala e averlo sempre dalla sua zona di campo in su mi ha consentito che facesse 22 gol in una stagione. Al Guangzhou mi mancava sempre un attaccante con determinate caratteristiche e adottando questa soluzione abbiamo vinto il campionato, arrivando anche in semifinale di Champions asiatica".

La mezzala è il ruolo che fa più la differenza nel calcio di oggi?
"Il centrocampista bravo nell’inserimento, nella costruzione e nella fase difensiva, il Barella di turno per capirci, è un valore aggiunto. Per vincere un campionato hai bisogno tra i 60 e gli 80 gol: un attaccante ne segna dai 20 ai 25 gol e nella costruzione della squadra devi trovare gli altri dal centrocampo, dagli attaccanti esterni e dalla seconda punta. Così un centrocampista che segna diventa come un attaccante".

Il 4-3-3 è un mantra o c'è un piano B?
"Col tempo, senza Paulinho, ho dovuto sviluppare un altro sistema. Un sistema che ho usato molto con Malesani da calciatore. Durante una partita, contro un avversario che si schierava con l'1-5-3-2, ho retrocesso il centrale di centrocampo, avanzato i terzini e portato le ali dentro. Così mi sono creato un altro sistema, con il quale abbiamo ottenuto grandi risultati, mostrando sempre supremazia territoriale e una grande qualità di gioco, potendo contare sempre su cinque soluzioni per chi portava palla".

In Cina hai avuto un ruolo più esteso rispetto al semplice allenatore.
"Avevo tanta responsabilità. A Guangzhou dovevo trasferire le mie idee al presidente. Sono stato bravo a tirare fuori tanti giovani dall'accademia, a ringiovanire la squadra. Poi ho fatto costruire un centro sportivo con un concetto europeo. Attaccato allo spogliatoio dei giocatori ho fatto preparare una sala riunioni e prima di ogni seduta in due minuti mostravo l'allenamento alla squadra, su lavagna o in video, così da eliminare anche le difficoltà di comprensione della lingua".

Durante la tua carriera da calciatore pensavi già da allenatore? Anche ascoltando i tuoi tecnici, mettevi da parte in qualche modo idee, riflessioni…
"La mia idea era quella di fare il dirigente. Ma sì, quando giocavo mi segnavo le cose che mi piacevano, e quelle che non mi piacevano, dei miei allenatori".

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Ne hai avuti tanti, alcuni grandissimi. Chi ti ha lasciato di più?
"Ho lavorato con allenatori bravi nella gestione e nella disciplina come Capello. Altri molto bravi a leggere le situazioni dalla panchina come Lippi, che influiva tanto sulla partita. Allenatori tattici come Sacchi, che ha cambiato il calcio italiano. E poi Malesani, che a Parma ci insegnava cose che sono ancora attuali. Il bello è proprio questo, il calcio è come una moda: gira e rigira, sono sempre le stesse cose".

Oggi però sarà cambiato, almeno in qualcosa…
"La differenza tra il mio calcio è quello contemporaneo è che oggi è tutto molto più pubblicizzato attraverso i social. Ed è cambiato anche l'apprendimento: prima il bagaglio tecnico te lo portavi dentro, oggi vai su internet e trovi tutto".

E cosa vuol dire oggi essere un difensore?
"C’è molta più tranquillità, soprattutto in fase offensiva. La palla viene giocata anche sotto pressione dai difensori, con la squadra avversaria nella tua metà campo. Ai tempi nostri nella difficoltà ci dicevano di lanciare la palla in tribuna. I difensori di oggi partecipano molto di più alla fase di costruzione".

Oggi Fabio Cannavaro sarebbe diventato Fabio Cannavaro?
"Le generazioni cambiano, ma alla fine il calcio resta quello. Io con Scala e Ancelotti facevo un certo tipo di gioco, con Malesani nella difesa a tre giocavo più alto. Lui ti insegnava a giocare il pallone e andare sempre, perché qualora si fosse persa palla si riusciva comunque a rimediare. Dava la spinta a giocare anche a chi tecnicamente non era bravo".

Quando parli di Malesani traspare grande stima.
"Era un allenatore già avanti tanti anni fa. Curava tanto entrambe le fasi e ti insegnava a rompere le linee come accade oggi. Insegnava ai difensori a condurre palla senza avere paura di perderla, perché dietro c'era sempre qualcuno che ti copriva".

Fabio Cannavaro ospite nella redazione di Fanpage
Fabio Cannavaro ospite nella redazione di Fanpage

Allegri dice sempre: il calcio è semplice. Quanto ti trovi d’accordo?
"Il calcio è molto semplice. Lo fanno più complicato di quello che è. La cosa fondamentale sta sempre nel capire che squadra hai. Sta all’intelligenza dell’allenatore comprendere se quelle idee puoi attuarle o no. Ti devi sempre adeguare al contesto, altrimenti vai a casa".

Quale sarà la prossima moda nel calcio?
"Ero convinto di vedere più squadre far partecipare il portiere al gioco, come accadeva in Giappone. Già qualche anno fa si vedevano tante difese costruire col supporto del portiere. Ho visto che questa cosa l'ha proposta De Zerbi in Italia, ma rappresenta un bel un rischio. Le prossima rivoluzione forse potrà innescarla la FIFA con il fallo laterale battuto con i piedi".

L'esperienza ai Mondiali 2006 cosa ha lasciato nel tuo bagaglio di allenatore?
"La riunione che abbiamo visto fare a Mancini, prima della finale degli Europei, mi ha ricordato molto quella di Lippi a Berlino. Ci ritrovammo nella nostra sala riunioni, lui scoprì la formazione e guardandoci ci disse: Cosa dobbiamo fare? L’unica cosa da fare è vincere. Non c’è tattica non c’è tecnica, è una finale, si gioca solo una volta e bisogna vincere‘. Anche io cerco di fare tutta la tattica possibile, ma per un allenatore è fondamentale è capire la testa dei giocatori. Fa la differenza e l'ho visto tante volte in carriera".

Ad esempio?
"Capello a Madrid. Eravamo a -7 dal Barcellona e gli dissi che era un peccato che ci fosse qualcuno che non ci credesse. Lui mi rispose: ‘Io so cosa bisogna fare Fabio, non ti preoccupare perché sicuramente vinceremo il campionato'. Lui già sapeva, aveva visto tutto. Arrivammo a pari punti e vincemmo la Liga".

Perché secondo te dal gruppo di campioni del mondo del 2006 sono usciti così tanti allenatori ad alti livelli?
"Alla Federazione chiesi, oltre al premio per la vittoria dei Mondiali, anche il patentino da allenatore per tutti. Ulivieri disse subito che non era fattibile, ma ci diede la possibilità di fare un corso abbreviato. Grazie a quel corso quasi tutti i campioni del mondo hanno cominciato a fare gli allenatori. Ed è bello perché ognuno di noi ha una visione diversa del calcio".

In questo momento però il top sono gli allenatori tedeschi.
"Per anni abbiamo rincorso il calcio spagnolo, il calcio inglese, quando i più bravi sono sempre stati in Germania. Il concetto di lavoro dei tedeschi è un punto fermo su cui batto da anni. Klopp, Tuchel, Nagelsmann stanno portando questo concetto ad alti livelli. Da calciatore contro le squadre tedesche non uscivi vivo, il modo in cui chiudevano il campo senza farti ripartire era già all'avanguardia. Il Bayern oggi è quello che gioca meglio in Europa, cambiano allenatore e sono sempre lì. È l'unico calcio superiore al nostro".

E invece in Italia chi ti sta piacendo di più in questa fase?
"Spalletti e Simone Inzaghi in questa prima parte di stagione. Ma mi ha impressionato molto Mancini per quanto fatto agli Europei: è riuscito a dare una filosofia di calcio completamente diversa dalla nostra ad un gruppo che si è messo a disposizione al 100%. Gli ha tolto pressione e li ha portati a diventare campioni d’Europa".

C’è un giocatore che hai visto di recente che ti ha fatto pensare: mi piacerebbe lavorare su di lui…
"Sì, e potevo allenarlo. Ho avuto la possibilità di andare alla Fiorentina sia l’anno scorso che quest’anno. Non è successo perché ero bloccato al Guangzhou".

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E il giocatore è…
"Vlahovic, l’attaccante ideale che tutti vorrebbero. Sa fare gol, giocare con i compagni, fa reparto da solo. Vlahovic sarà il più bravo nei prossimi 10 anni".

Anche più di Haaland?
"Lui è fortissimo faccia alla porta, perché è abituato a giocare in un certo modo. Vlahovic invece anche spalle alla porta sa fare la differenza".

Quando ti vedremo in panchina?
"Inizialmente volevo fermarmi per fare vacanza, ma dopo qualche mese la voglia di allenare mi sta tornando. In Europa mi ricordano come un grande giocatore e in pochi si ricordano che in Cina ho fatto anche l’allenatore".

E dove ti immagini?
"Aspetto l’opportunità che possa permettermi di mettere in pratica le mie idee. Ho avuto offerto da paesi asiatici ed MLS, ma voglio trovare qualcosa in Europa. Va bene qualsiasi situazione, qualsiasi progetto, purché ci siano determinate caratteristiche che io cerco. Preferisco una squadra in difficoltà che ha voglia di crescere ad una che è già al vertice ma ha idee diverse".

In Italia o all'estero?
"È uguale. Mi piace girare, conoscere persone nuove. In questi anni ho iniziato a parlare inglese e spagnolo. Ho avuto la fortuna di conoscere la cultura araba, quella cinese. Ho accumulato un bagaglio tecnico importante e voglio metterlo in pratica".

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