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Chicharito Hernandez salvato da Jim Carrey: “Non ero chi volevo essere, mi stavo perdendo”

L’attaccante messicano Javier Hernandez ha vissuto l’incubo della depressione, ma ne è uscito grazie ad un’intervista del popolare attore rivelatasi illuminante.
A cura di Marco Beltrami
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Javier Hernandez è uno che, almeno in apparenza, sembra aver avuto tutto dalla vita. Calciatore di successo, capace di indossare anche la casacca di United, Real Madrid e della sua nazionale, e personaggio molto popolare, con una splendida famiglia. C'è però qualcosa che ha tormentato profondamente il "Chicharito" negli ultimi mesi, portandolo quasi sull'orlo del baratro. Anche lui, reduce da una stagione non troppo esaltante con i Los Angeles Galaxy, ha dovuto fare i conti con la depressione.

Un male oscuro che lo ha spinto a chiedersi chi fosse realmente e perché si sentisse profondamente infelice. Tutto è nato dalla perdita del nonno, già leggenda del calcio messicano, che gli aveva trasmesso la passione per il pallone. L'impossibilità di salutarlo per l'ultima volta a causa delle restrizioni della pandemia, e la lontananza forzata da sua moglie dai figli piccoli, hanno alimentato il malessere del calciatore che ha toccato il fondo. È stato proprio lui a raccontarlo, in un'intervista a The Ringer. La sua vita si è trasformata improvvisamente in un incubo, con l'assenza di stimoli, e i pianti continui che l'avevano portato ad isolarsi da tutto e tutti: "Non ero il compagno che dovevo essere, né il padre che dovevo essere, né un buon amico. Non ero l'essere umano che volevo essere. Era come un vuoto. Cercavo di perdermi. Non credevo più in me stesso. Mi lasciavo cadere". E la cosa più frustante per lui è stato il rendersi conto di non riuscire a capire da dove nascesse questa crisi, fino a quando non si è imbattuto in un'intervista al popolare attore americano Jim Carrey.

Quest'ultimo ha parlato della depressione come della necessità da parte dell'anima, del sé, di un riposo profondo, anche dal personaggio che ognuno di noi interpreta. Quando Javier ha sentito la parola "personaggio", qualcosa è cambiato perché si è accorto di aver interpretato per tutta la vita un ruolo, un personaggio appunto. Lui è stato sempre il "Chicharito", e questo ha fagocitato libertà, spontaneità, costringendolo a tentare di soddisfare le esigenze altrui. Improvvisamente il messicano è riuscito a tirare le somme della sua vita e della sua carriera, mettendo da parte quella necessità di sentirsi sempre all'altezza della situazione, smentendo anche chi lo considerava un "raccomandato" proprio a causa della popolarità del nonno. "Ma tu chi sei?" Si è chiesto più volte Hernandez che a poco a poco è uscito dal tunnel: "Quando vedi un uomo piangere, pensi che sia debole. Ma per me, la vulnerabilità è una delle cose più forti, potenti e amorevoli che puoi fare per te stesso e per l'umanità in generale. Nella tua carriera, non hai nemmeno il tempo di amarti. È una questione di sopravvivenza. Mirare a un nuovo obiettivo ogni volta che ne completi uno".

E alla fine tutto è stato superato, con Hernandez che ha imparato ad amarsi nuovamente, dopo aver combattuto una battaglia contro il proprio ego ritrovando anche l'entusiasmo di giocare a calcio divertendosi: "Mi sono detto che non dovevo realizzare qualcosa per essere di valore, contrariamente a quanto ci dicono. Tutti sono persi per questo. Io sono più dei miei soldi o della mia fama. Dovevo riscoprire l'idea di giocare per amore del calcio, non per gli altri, e accettare tutte le sfaccettature della tua personalità. Combattere l'ego è un processo".

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