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Brescia, Gastaldello: “Abbiamo paura, non vogliamo giocare. Siamo umani non macchine”

La Serie A è pronta a ripartire e attende che il Governo dia il via libera ad allenamenti collettivi e campionato. A dispetto dell’unanimità conclamata dalla Lega Calcio, tra i club ci sono posizioni dissonanti. Una di queste è quella del Brescia, a parlare questa volta è Daniele Gastaldello: “Abbiamo paura perché siamo esposti tutti. E qui tutti noi conosciamo qualcuno che ha vissuto una tragedia sulla propria pelle. Abbiamo visto quanto basti poco per rovinare una famiglia”.
A cura di Maurizio De Santis
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"Non vogliamo giocare perché abbiamo paura". Daniele Gastaldello del Brescia esprime un concetto semplice, semplice quando gli chiedono se e quando si potrà tornare in campo, a quella "normalità" del campionato spazzata via da due mesi terribili per gli effetti devastanti del coronavirus. La Lombardia, in particolare le zone del Bresciano e del Bergamasco, hanno pagato un conto durissimo in termini di angoscia, dolore e vite umane. La conta dei morti ha scandito il suono delle sirene delle ambulanze che hanno fatto (e fanno ancora) da spola tra le case e gli ospedali.

Saracinesche abbassate – alcune anche listate a lutto -, pagine di necrologi, bare ammassate da qualche parte (tra gli obitori e le camere mortuarie) e portate altrove perché non c'era più spazio nemmeno nelle anticamere per la cremazione: è questo lo scenario che è sullo sfondo di un Paese, una fetta d'Italia, messo in ginocchio da un nemico invisibile capace di distruggere ogni cosa. Pane e disperazione. Pane e rabbia. Pane e lacrime. Null'altro c'è come companatico in questi tempi durissimi, dove il fervore lavorativo e il mito della produttività sono state spazzate via, ricordando all'uomo che la vita di una persona ha un valore inestimabile.

È per questo che se mi chiedono di giocare – ammette Gastaldello nell'intervista a Repubblica – io dico no. Nessuno di noi si sente al sicuro e nemmeno mi sembra ci siano i presupposti per andare in campo. Ci chiedono di allenarci da subito e bene per disputare 12 partite in 45 giorni dopo essere stati fermi del tutto per un paio di mesi. È folle… perché così rischiamo di farci male.

Prevenzione, controllo, rispetto del distanziamento e – in caso di positività – isolamento oltre a test diagnosticai a tappeto per verificare l'evoluzione del contagio. È così che la Germania si prepara a tornare in campo. La Bundesliga farà dal 15 maggio secondo quel protocollo medico/scientifico che ha convinto anche il primo ministro, Angela Merkel, e incoraggiato le società ad accettare il "rischio calcolato", una sorta di "pericolo accettabile" che rappresentano il male minore affinché lo spettacolo possa continuare. Non è solo questione sportiva ma di business che tiene in vita un sistema all'interno del quale i calciatori sono la parte più esposta (e meglio pagata) ma annovera anche un esercito di persone che lavora dietro le quinte.

A Brescia (e non solo) la pensano in maniera differente. La posizione del presidente, Massimo Cellino, è sempre stata molto chiara: no alla ripresa del campionato a ogni costo. Un'opinione dissonante rispetto all'unanimità annunciata dalla Lega Calcio. Un'opinione che cova sotto la cenere come le perplessità fortissime dei medici sportivi, per nulla disposti ad assumersi la responsabilità (anche giuridica) di acconsentire alla "nuova" idoneità per i calciatori.

Abbiamo paura perché siamo esposti tutti. Noi calciatori come anche magazzinieri, fisioterapisti, massaggiatori – ha aggiunto Gastaldello -. Per ripartire vorrebbero che ci chiudessimo in ritiro per un paio di mesi. È vero che siamo professionisti ma anche esseri umani… abbiamo mogli, figli. E qui a Brescia tutti noi conosciamo qualcuno che ha avuto una tragedia e l'ha vissuta in prima persona. Abbiamo visto quanto basti poco per rovinare una famiglia.

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