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Andrea D’Amico: “In Italia i giovani non hanno tempo di diventare campioni, il modello è da cambiare”

Il noto agente Andrea D’Amico ha parlato a Fanpage nel corso di un’intervista in cui ha analizzato quali siano i problemi attuali del calcio italiano, specie in ottica mercato: “Il nostro è un mercato mordi e fuggi, per cui non non si dà più il tempo ai giocatori di diventare dei campioni”.
A cura di Fabrizio Rinelli
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Andrea D'Amico è uno degli agenti più noti nel calcio italiano, in Europa e nel mondo. Ha gestito contratti di giocatori importanti come Alessandro Del Piero, Gianluca Vialli, Gianluigi Lentini, Rino Gattuso e tanti altri. La persona giusta, con una visione ad ampio raggio capace di analizzare al meglio cosa stia accadendo oggi al calcio italiano, soprattutto in sede di mercato. "Il campionato italiano è diventato di passaggio" ha sottolineato nel corso di un'intervista che ha rilasciato a Fanpage. D'Amico ha spiegato perché i club, anche i più blasonati, oggi si trovino costretti a dover vendere i propri giovani talenti fin da subito, pur di garantirsi quell'entrata.

Per D'Amico tutto ruoto attorno al concetto di "sostenibilità" e alla difficoltà che fanno i club nel riuscire a ricavare risorse senza un adeguato sostegno. "Il nostro è un mercato mordi e fuggi, per cui non non si dà più il tempo ai giocatori di diventare dei campioni, perché non c'è l'albero dei campioni dove vai e stacchi il campione già fatto – spiega – ma il campione è frutto di un processo di maturazione tecnica, mentale, fisica e purtroppo noi non stiamo valorizzando il nostro prodotto interno sportivo che sono i nostri giovani talenti".

Andrea D’Amico, agente sportivo.
Andrea D’Amico, agente sportivo.

Oggi il mercato è totalizzato dalla questione Lookman: come pensa andrà a finire?
"Sono cose successe mille volte nel calcio. Quando una società non non ha più interesse a utilizzare un giocatore sotto contratto questo viene messo fuori rosa e quando un giocatore vuole andar via magari punta i piedi. Secondo me i giocatori devono ricordarsi che come hanno dei diritti hanno anche degli obblighi e comunque ogni comportamento deve restare nell'ambito di una correttezza regolamentare".

Perché si parla di far crescere i giovani e poi sul mercato vengono tutti svenduti dai top club?
"Il mercato italiano ormai è diventato un mercato di terzo livello, nel senso che i giovani vengono acquistati all'estero, poi valorizzati, e non appena fanno bene, vengono rivenduti su dei mercati più importanti al pari di quei pochi giovani italiani. In pratica si cerca sempre di rivenderli per fare delle plusvalenze sia nel mercato interno sia in mercati ricchi".

Miretti e Kean, prodotti della Next Gen Juventus pronti a lasciare i bianconeri.
Miretti e Kean, prodotti della Next Gen Juventus pronti a lasciare i bianconeri.

Ma come si è arrivati a questo?
"Il motivo è che e il nostro calcio lavora su un modello di business che è assolutamente superato, dove mancare l'obiettivo equivale ad un insuccesso sportivo ma anche economico finanziario".

In che senso?
"Retrocedere e non risalire subito, vuol dire fallire. Non raggiungere l'obiettivo importante europeo che ti permette di avere grandi introiti equivale ugualmente ad un fallimento economico. Per questo motivo non si fanno strutture, non si fanno impianti come ce ne sono di modernissimi nel resto dell'Europa e del mondo. È da considerare che appena un giovane giocatore fa bene viene subito rivenduto perché comunque non c'è la certezza di disputare ancora la stessa categoria dell'anno precedente".

Tutto questo si ripercuote anche in Nazionale.
"I giocatori in Nazionale una volta ci arrivavano dopo un percorso importante dopo tante partite anche in Serie A. Adesso il selezionatore è in grande difficoltà, basta guardare gli organici delle squadre e vedere quanti giocatori italiani giocano. Penso che siano il 30% rispetto ai giocatori stranieri".

Come si può risolvere il problema?
"Una volta quando la nazionale non andava bene si chiudeva agli stranieri. Credo che possa essere una pratica che si possa fare. Si potrebbe fare un regolamento che obblighi le squadre a mettere in campo almeno cinque-sei giocatori italiani, tra cui i portieri. Occorre grande forza per riprogettare il sistema sportivo italiano".

Bisognerebbe seguire un altro tipo di percorso?
"In Premier tante società, 20-30 anni fa, erano fallite, poi hanno creato un sistema di distribuzione delle ricchezze diverse, dividendole in maniera uguale. Quindi la retrocessione non è più vista come un fallimento economico. I proprietari possono anche valorizzare i giocatori giovani senza il terrore della retrocessione".

È un modello di business che dunque tende a penalizzare i giovani del calcio italiano.
"Non c'è sostenibilità con questo modello di business, bisogna distribuire le risorse in maniera diversa, in modo tale che anche la retrocessione non rappresenti più un baratro economico finanziario. Il discorso dei giocatori viene di conseguenza, è conseguenza del modello di business su cui lavori. Altrimenti non sarebbero fallite 200 società in 30 anni".

Il caso Juventus Next Gen: solo Yildiz è rimasto in prima squadra, si è mai chiesto perché?
"A volte non c'è sufficiente pazienza perché se poi vedi anche la valorizzazione che hanno avuto altrove questi giocatori valeva la pena aspettarli per un inserimento in prima squadra alla Juve".

Come è cambiato in questi anni il lavoro del procuratore proprio a fronte di un mercato sempre più povero?
"Ormai è diventato un mercato molto più veloce, molto più globale e più frenetico, dove c'è molto meno tempo rispetto a una volta di relazionarti con tutti gli interlocutori, perché ormai anche grazie alle comunicazioni tutto viene fatto via email, via messaggistica, via telefono. È chiaro che con i tempi che cambiano anche la gente si deve adeguare a queste nuove situazioni".

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