Alberto Brignoli: “Il gol al Milan era provato in allenamento. Ho lasciato il ciclismo dopo Pantani”

C’è un’immagine che accompagna Alberto Brignoli da anni: quella corsa verso l’area del Milan di Gattuso, il colpo di testa al 95’, la rete che entra e una carriera che, in un istante, diventa leggenda. Ma ridurre Brignoli a quel gol sarebbe un errore imperdonabile. Perché dietro uno dei tre portieri capaci di segnare su azione in Serie A c’è un percorso fatto di gavetta, scelte difficili, momenti di rottura e rinascite lontano dall’Italia. Oggi, ad Atene con l'AEK, Brignoli ha trovato una nuova dimensione: meno clamore, più equilibrio. E la voglia di raccontarsi a Fanpage.it senza filtri.
Brignoli, come sta andando l’avventura in Grecia?
"Sta andando molto bene. Sto bene io, sta bene la mia famiglia e questo per me è fondamentale. Il livello del campionato greco è alto, spesso sottovalutato. Ho giocato l’Europa League con il Panathinaikos, ora la Conference con l’AEK e stiamo facendo bene. Sinceramente non pensavo di restare così a lungo in Grecia, invece mi auguro di rimanerci ancora".
Che mondo è quello dell’AEK Atene?
"Un mondo intenso, passionale. Atene vive di calcio, le pressioni sono forti ma sane. Qui ho trovato una società che sta cambiando, un nuovo allenatore, un nuovo direttore sportivo con cui mi trovo benissimo. Anche se ora sto giocando meno, ho trovato un equilibrio che mi mancava".

Come nasce la scelta di andare all’estero, in un paese non così ‘classico' per un italiano?
"È stata una scelta istintiva. Dopo la promozione con l’Empoli mi dissero chiaramente che sarei stato una seconda scelta. A quel punto ho preferito rimettermi in gioco. Avevo bisogno di dimostrare ancora, soprattutto a me stesso. Col senno di poi, è stata una delle scelte migliori della mia carriera".
Facciamo un passo indietro e partiamo dagli inizi. È vero che Brignoli era un grande talento nel ciclismo e ha dovuto scegliere tra calcio e bici?
"Sì. Io correvo in bici e sciavo. Pantani era il mio idolo. Quello che accadde a Madonna di Campiglio mi spezzò qualcosa dentro. Decisi di smettere e da lì è iniziato il mio viaggio nel calcio, quasi come una seconda vita".
Brignoli ha fatto tutte le categorie. Quanto sono stati importanti Montichiari e Lumezzane nella sua crescita, sia tecnica sia personale?
"Fondamentali. Quelle esperienze mi hanno formato come uomo prima ancora che come calciatore. A Terni ho imparato cosa significa responsabilità, pressione, rispetto. Mimmo Toscano mi ha insegnato l’educazione nel calcio. Ancora oggi arrivo in anticipo alle riunioni per quello".
Nel 2015 Brignoli approda alla Juventus: come ha vissuto quel salto a livello di percezione personale pur non avendo mai giocato una partita ufficiale e com'è stato l'impatto a livello emotivo?
"Enorme. Essere chiamato dalla Juve è qualcosa che rifarei mille volte. Devi però essere consapevole che per stare lì serve qualcosa in più. Io ho sempre preferito giocare, essere protagonista. Non è un rimpianto, ma una scelta di vita".

C’è un rimpianto nella sua carriera?
"Forse non aver avuto una vera continuità in Serie A. Avrei voluto sedermi a quel tavolo e giocarmi la mia mano fino in fondo. Ma sono felice di quello che sono diventato".
Inutile dire che il nome di Brignoli sarà per sempre legato al Benevento-Milan: cosa ricorda di quegli istanti?
"Nulla di razionale. È un’emozione unica, irripetibile. Quel gol è diventato qualcosa che va oltre me. Chi ama il calcio si ricorda dov’era in quel momento. Ed è questo il bello".
È vero che quel movimento lo aveva provato mille volte in allenamento?
"Sì. Avevo spesso provato movimenti d'attacco simili in allenamento perché quando lavoravamo sui calci piazzati in fase difensiva mi è capitato spesso di fare l'attaccante contro i miei compagni difensori: ho replicato un movimento che facevo spesso per simulare di sottrarmi alla marcatura. Ho replicato una situazione che avevo in testa ed è successo tutto come l’avevo immaginato. Un momento incredibile".
A Benevento ha lavorato con De Zerbi: cosa le ha lasciato?
"Una scuola incredibile. All’epoca soffrii il metodo di De Zerbi, oggi lo ringrazio. Mi ha insegnato a leggere il gioco, a pensare prima. Ma lo stesso potrei dire che di Farioli…".
Ecco, Farioli. In Italia si parla sempre troppo poco di questo ragazzo: si aspettava questa sua ascesa?
"Sì. Ha sempre mostrato una intelligenza superiore alla media, anche per il suo coraggio e la sua volontà di uscire dalla zona di comfort. Avevo intuito che poteva arrivare ad alti livelli, e così è stato".
Dato che ci siamo, rimaniamo nel contesto allenatori. Ha avuto a che fare con Claudio Filippi, uno dei preparatori dei portieri migliori che ci sono in Italia e che ora è sulla cresta dell'onda per le prestazioni super di Maignan. Cos’ha di speciale?
"Io l'ho avuto per poco tempo alla Juve ma posso dirti che è un ‘martello', in senso positivo, e richiedeva un'intensa applicazione e concentrazione mentale in allenamento. Se guardiamo anche la stagione scorsa di Mike Maignan, sicuramente quello che stiamo vedendo quest'anno è anche merito suo".
Nel tempo libero chi è Alberto Brignoli?
"Un papà, un marito. Cerco di allenarmi, stare bene fisicamente, stare con la mia famiglia. Il calcio occupa tutto, ma serve equilibrio per rendere davvero. Quando non sono impegnato con il calcio mi concentro sul relax con la mia famiglia e sul mantenimento della forma fisica. Mi piace andare in palestra e ho diverse stretto collaborazioni, tra cui con il marchio italiano di abbigliamento sportivo ‘CiaoGym', con cui mi sto trovando benissimo e che mi permette di vivere al meglio sia momenti di giornata ‘non impegnati' che durante gli allenamenti in palestra".