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Caso Juve, le news su plusvalenze e stipendi

Agnelli caduto in trappola, non voleva dimettersi: il Cda della Juve è stato drammatico

Andrea Agnelli lunedì scorso era ancora sicuro di riuscire a superare anche questa tempesta e restare in carica sulla poltrona di presidente della Juventus. Poi si sono chiuse le porte ed è iniziato il Cda: lì ha capito di essere caduto in trappola. Ha preso la parola la plenipotenziaria del cugino John Elkann, per lui è stato l’inizio della fine.
A cura di Paolo Fiorenza
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Mentre la macchina della giustizia va avanti senza indugio, facendosi largo tra le macerie dell'organigramma della Juventus interamente dimissionario e rinviato a giudizio – assieme alla stessa Juve come persona giuridica – dalla Procura di Torino nell'ambito dell'inchiesta Prisma, emergono altri retroscena sull'addio di Andrea Agnelli al club bianconero. Un addio sofferto più di quanto dicano la lettera accorata inviata a tutti i dipendenti della società appena dopo le sue dimissioni da presidente e ancor più le dichiarazioni di circostanza del cugino John Elkann. Un "atto di responsabilità" sì, ma di cui l'autore avrebbe fatto volentieri a meno, continuando la sua difesa strenua della poltrona che andava avanti ormai da un po' di tempo.

Già, perché Agnelli era chiacchierato da qualche anno per una ‘dismissione' più o meno volontaria dal suo adorato giocattolo bianconero, da quando la direzione sportiva che aveva portato a traguardi storici destinati a restare scolpiti nel calcio italiano (i 9 Scudetti consecutivi, oltre alle due finali di Champions) si era dispersa in un malgoverno gestionale i cui disastrosi esiti sono ora sotto gli occhi di tutti. La Juventus dell'ultima era Agnelli ha dissipato e scialato in maniera non più coperta dai risultati sul campo (e relativi introiti), portando a due conseguenze entrambe sanguinose. Una in conto finanziario, con i continui aumenti di capitale – resisi necessari per rabboccare la casse – che non hanno fatto piacere a chi quei soldi li ha dovuti cacciare, leggasi Exor, ovvero la cassaforte di famiglia di cui è Ad John Elkann: sono stati tre in 10 anni, per oltre mezzo miliardo di euro.

Andrea Agnelli e il cugino John Elkann: la battaglia finale per la Juve ha visto prevalere il secondo
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L'altra in conto economico, con bilanci non più sostenibili visti i rossi pesantissimi e la necessità di renderli ‘accettabili' mettendoci dentro più segni ‘più' possibili e meno voci debitorie. Sarebbe questo, nell'impianto accusatorio della Procura torinese il vicolo cieco imboccato dalla Juventus all'inizio della pandemia da Covid, quando la situazione dal punto di vista dei bilanci annuali era diventata molto pesante. Dunque il club bianconero avrebbe artatamente inserito degli introiti gonfiati con le plusvalenze da calciomercato, pari a oltre 150 milioni (è il primo filone dell'inchiesta), ma avrebbe anche non iscritto a bilancio e comunicato alcune spese, derivanti da diverse operazioni: in primis le restituzioni degli stipendi fittiziamente oggetto di rinuncia da parte dei giocatori nelle due ormai famose manovre del 2020 e 2021, ma non solo quelle, come è  emerso nelle ultime ore ad aggravare ulteriormente l'impianto accusatorio.

L'importo complessivo dei segni ‘meno' non messi a bilancio sarebbe non già di una trentina di milioni come era trapelato inizialmente, ma di 72 milioni: secondo quanto svela Repubblica, si tratterebbe di un extradebito che arrivava da contratti segreti con calciatori, club e agenti. Quindi scritture private coi calciatori sugli stipendi che avrebbero recuperato in un secondo momento (tra cui i 19,9 milioni lordi dovuti a Ronaldo), ma anche vero e proprio ‘nero' in operazioni di calciomercato con altre società e nella dazione dei compensi agli agenti. Quanto agli affari con altri club che avrebbero prodotto debiti non contabilizzati, c'è una mail datata 10 luglio 2020 in cui si parla di "debiti residui" che secondo la Procura non sarebbero stati messi a bilancio. In una intercettazione l'Ad bianconero Arrivabene dice: "Sappiamo cosa gli dobbiamo all’Atalanta". Al riguardo si tratterebbe di una cifra tra i 6 e i 7 milioni maturati nell’ambito degli acquisti e cessioni di Kulusevski, Romero e Demiral. Già, quel Kulusevski citato dall'attuale Ds Cherubini nel suo "libro nero" sul suo predecessore Paratici tra gli "investimenti fuori portata" fatti dall'allora uomo mercato bianconero.

Andrea Agnelli ha detto addio alla Juve dopo 12 anni: tanti successi, ma anche una gestione scriteriata negli ultimi anni
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La gestione post Marotta, con Paratici al timone del mercato ed Agnelli ad avallare tutto senza freni, è stata una valanga che prima insospettito ha la Consob e poi allertato la magistratura. Andrea si è trovato con sempre meno alleati per continuare a mantenere il comando, finchè la battaglia per avere in mano la Juventus è arrivata alla resa dei conti finale. Una resa dei conti di cui si trova traccia nelle parole stesse dell'ormai ex presidente nella sua lettera ai dipendenti. In particolare una parola usata quattro volte, "squadra". Quella squadra che nella missiva di Agnelli non era più coesa e unita come un monoblocco: "Quando sai di avere tutta la squadra con te l'impossibile diventa fattibile". E ancora, per marcare il cambio di rotta: "Quando la squadra non è compatta si presta il fianco agli avversari e questo può essere fatale".

Ma a cosa si riferiva Andrea Agnelli? Facile pensare alle ‘diversità di vedute' sulla gestione della Juventus col cugino John Elkann, che non è mai stata un segreto in questi anni. Ma c'è di più, un allargarsi del dissenso per le ‘acrobazie' manageriali degli ultimi anni che è esploso clamorosamente nel Cda di lunedì scorso, quello conclusosi con le dimissioni in blocco della dirigenza bianconera. La ricostruzione di quanto è accaduto l'ha fatta sulle pagine de ‘La Verità' Gigi Moncalvo, da sempre molto informato sulle vicenda di casa Agnelli. E dunque Andrea non aveva nessuna intenzione di dimettersi, pensando anche stavolta di riuscire ad uscire indenne dal ‘fuoco amico' che lo voleva via dalla Juventus. Recepire gli appunti fatti dalla Consob sull'ultimo bilancio, sistemandolo di conseguenza, sarebbe stato sufficiente ad azzerare i rischi di reiterazione del reato ed eventualmente di arresto, senza per forza dover arrivare alle dimissioni.

Andrea Agnelli è entrato in consiglio sicuro che il cugino John non volesse premere il metaforico grilletto su di lui, concedendogli l'ennesima occasione di invertire la rotta e sistemare in qualche modo le cose, difendendosi con le unghie e con i denti davanti alla magistratura e magari riuscendo anche a piazzare qualche risultato sul campo nella seconda parte di stagione, sulla scia delle ultime vittorie consecutive del suo caro amico Allegri. Ma le cose stavano in maniera molto diversa ed è bastato poco ad Agnelli per capire che era una trappola, l'ultima cui non sarebbe riuscito a sottrarsi: John Elkann aveva deciso il suo destino una volta per tutte e ha usato il suo ‘braccio armato' nel Cda, ovvero Suzanne Heywood, managing director di Exor e presidente di Cnh Industrial Nv. È stata la potente manager ad aprire il fuoco metaforico contro Andrea, portandosi dietro il resto dei consiglieri. Quasi tutti a dire il vero, visto che – secondo quanto riferito a Moncalvo da fonti ben accreditate – alla fine qualcuno a suo favore Agnelli lo aveva ancora, il fido Francesco Roncaglio, mentre Arrivabene era per l'azzeramento del Cda e Nedved incerto.

Suzanne Heywood, la plenipotenziaria di John Elkann che ha guidato l'estromissione di Andrea Agnelli dalla Juve
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Messo in schiacciante minoranza, Agnelli ha dovuto passare la mano. John Elkann riprende dunque il pieno controllo della Juventus, piazzando tutti i suoi uomini nei gangli vitali della società: il nuovo presidente Gianluca Ferrero, il Dg Maurizio Scanavino e lo stesso Arrivabene confermato Ad. Ed anche il nuovo Cda che prenderà il posto di quello dimissionario avrà lo stesso profilo: uomini di conti e di legge, gente con esperienza nelle battaglie aziendali e non in quelle del pallone. Il momento della Juventus richiede questo, per difendersi sul piano della giustizia penale e del mercato azionario. L'obiettivo primario adesso è mettere in sicurezza la società, tattiche e schemi vengono dopo. Molto dopo. Con buona pace di chi come Andrea Agnelli era prima di tutto un tifoso della squadra: non capire che aveva superato il limite nello spingere la competitività sportiva ai danni della sostenibilità economica gli è stato fatale.

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